Regia di Lamberto Bava vedi scheda film
Se fossero esistiti in Italia i Razzie Awards “Le Foto di Gioia”avrebbe fatto il pieno di statuette. Luciano Martino, fratello del regista Sergio e capo della Dania Film, propone a Lamberto Bava un soggetto poco ispirato. Reduce dagli argentiani Demoni (1985) e Demoni 2 (1986), il figlio del grande Mario Bava accetta l'invito perché la produzione che ne è alle spalle è sulla carta molto qualitativa. Martino, già produttore dei thriller anni '70 interpretati dalla Fenech (all'epoca sua compagna di vita), mette a disposizione del regista un cast tecnico di primo ordine, in cui spiccano lo scenografo Antonello Geleng (asso nel settore in Italia), il direttore alla fotografia Gianlorenzo Battaglia (apprezzato nel medesimo ruolo in Demoni) e il compositore Simon Boswell che aveva impressionato (insieme ai Goblin) per le musiche di Phenomena di Dario Argento. Meno esaltante è la proposta degli attori. A parte alla spaesata Daria Nicolodi e ai migliori del lotto Capucine e Luigi Montefiori (che sembra esser stato coinvolto per ragioni di amicizia), troviamo i volti noti di David Brandon, protagonista in Deliria, e del pessimo ma gradito al regista Lino Salemme nei panni dell'incapace ispettore di turno (lo ritroveremo in altri film di Bava jr e in Demonia di Fulci), oltre Karl Zinny (mediocre pure lui) e una lunga serie di attricette. Martino però pensa (evidentemente male) di ripetere l'operazione fatta con la Fenech agli inizi degli anni settanta e prova a lanciare nel giallo Serena Grandi e, addirittura, Sabrina Salerno. La prima è reduce da film diretti da registi, quali Tinto Brass, che l'avevano scelta più per le doti fisiche che recitative in prodotti dalla spiccata componente erotica. Si pensi a pellicole quali Miranda (1985) o Desiderando Giulia (1986). Attrice notevolmente prosperosa, spesso mostrata nuda grazie a un seno che dire abbondante è non rendergli grazia, Serena Grandi è all'apice del suo successo, tanto che la si tenta di sdoganare anche nei film per famiglie al servizio di registi votati al genere comico e al fianco dei vari Paolo Villaggio, Lino Banfi, Jerry Calà e altri.
Martino la vuole protagonista assoluta, costringendo Bava a soffermarsi sulla procace scream queen calamitando sulla stessa tutte le attenzioni. Primi piani, carrellate e lunghi dialoghi ne accompagnano la recitazione. Scarsa decisamente sul piano espressivo e anche vocale, Bava non può far altro che cercare di sfruttarne le grazie fisiche che restano l'unico motivo di interesse della prova della Serena nazionale.
Diverso il discorso per la Salerno, assai impacciata e impettita. Niente a che vedere con la Salerno di oggi. È a inizio carriera e molto acerba. Se la spassa, o meglio vorrebbe, con il fratello della titolare della rivista che però fa cilecca (e se fai cilecca con certe fuoriserie puoi star lustro). Proprio nell'anno dell'uscita del film, la Salerno esplose con la canzone Boys, nel cui video lancio appariva con un seno esplosivo che debordava dal bikini. Bava le risolve i problemi di scomodità e la mette, pure lei, in topless. La prova della Salerno per fortuna è ridotta all'osso, ma questo non la salva dal disastro. La sua morte è una delle più ridicole del panorama thriller italiano.
Con le due “star” in evidente crisi, la scommessa della Dania Film assume la consistenza di una giocata ai cavalli da strappare già ai quattrocento metri dal palo.
Il colpo di grazia lo danno gli sceneggiatori, tra cui lo specialista Gianfranco Clerici e lo stesso regista. Le Foto di Gioia sembra voler essere una risposta al non trascendentale Sotto il Vestito Niente (1985) che i fratelli Vanzina avevano proposto un paio di anni prima attingendo dall'omonimo romanzo di Marco Parma. Viene dunque chiesta la realizzazione di un thriller con venature erotiche nell'alto mondo della moda. Nell'occasione si sostituisce il contesto delle firme milanesi con quello delle riviste per soli uomini sul modello di Playboy e Penthouse. Ecco così ruotare l'intrigo (in realtà non c'è nessun intrigo, perché la sceneggiatura non è sviluppata) di un giallo, dai contorni alquanto idioti, attorno alla titolare di una rivista chiamata, con grande tocco trash, Pussycat.
Tra dialoghi beceri, personaggi che non hanno nulla da dire nella storia (si veda Luigi Montefiori, che si bombarda la Grandi e tanti saluti dal Colosseo) e inflazione di culi e tette, Bava si perde al servizio di un prodotto che non sa più quali pesci prendere.
Pessimo come erotico e addirittura impresentabile come thriller, a causa di un intreccio che non da segnali di sè. Bava probabilmente non era il regista adatto per l'operazione. Un Joe D'Amato, forse, avrebbe reso meglio. Per fare un erotico non è sufficiente mettere una donna nuda, pur se prosperosa e attraente, mentre per fare un thriller non basta inserire una catena di omicidi sfilacciati tra loro e celare l'identità di un assassino fino alla fine. Bava tuttavia si impegna dietro alla macchina da presa (sciopera in scrittura invece). Alcuni movimenti di macchina sono quelli giusti. Penso alla carrellata laterale sulla corsa della Grandi all'interno del supermercato, al dettaglio sulle ruote della carozzella all'interno dell'ospedale o all'inquadratura argentiana sui guanti dell'assassino, per non parlare dell'utilizzo di una fotografia che rimanda allo stile di Mario Bava, con il rosso e l'azzurro che si alternano con fare ipnotico. Buoni, quanto inutili, gli effetti visivi. Il killer, infatti, uccide le prime due vittime dando l'idea di avere delle allucinazioni che gli presentano le varie donne alla stregua di un mostro. Bello, in particolare, il primo effetto, con una ragazza il cui volto è stato sostituito da un occhio gigante, con il relativo reticolato di vene rosse. Lo spettatore si aspetta così che la serie continui in tal senso e che abbia una ragion d'essere, ma non è affatto così. Gli effetti speciali sono buttati là, tanto per... senza alcuno senso.
Che dire poi della messa in scena degli omicidi? Bava jr è un maestro, è stato un allievo prima di Mario Bava, poi di Pupi Avati e quindi di Dario Argento. Il top del top e cosa fa qua? Niente, si scorda quasi tutto. Il primo omicidio viene risolto con un colpo di forcone in piena pancia e con la tipa che, tra spruzzi di sangue, cade in piscina. Freddino, ma il migliore della serie. Il secondo infatti è demandato all'azione di uno sciame di api (!?), con la Salerno che invece di scappare si lancia masochisticamente dentro il nugolo di insetti e con un assassino che si è improvvisato apicoltore (una soluzione, facendo dell'ironia, che verrebbe in mente a tutti, peraltro utile per non dare troppo nell'occhio). Bava jr però si supera e rende ancor più inconsistente la serie. Due omicidi (anche se poi si scoprirà esserne uno solo) sono fuori campo, mentre l'ultimo è frutto di un banale investimento d'auto. Ma attenzione, si arriva alla resa dei conti finale. Il killer, che ha un movente inconsistente, dopo aver indotto la Grandi a spogliarsi, con modalità da film porno, le taglia con la lama di un coltello il reggiseno e le mutandine, ma quando è proprio sul più bello arriva il salvatore della patria nella persona del James Stewart “de noi attri” (rimando va a La Finestra sul Cortile di Hichcock, per il vezzo del ragazzo di stare in continuazione alla finestra seduto su una carrozzina e con un cannocchiale in mano per spiare quello che succede in giardino). Un colpo di fuoco sparato da una carabina spezza la schiena del killer che sputa sangue sul ventre completamente nudo della Grandi, dando l'idea di un orgasmo orale. Insomma, sembra che neppure Bava jr abbia preso troppo sul serio questa pellicola, tanto da aver inserito un momento in cui la rivale della Grandi, una lesbica interpretata dalla Capucine, guarda un film in cui la Grandi viene stuprata sopra un auto da alcuni ufficiali nazisti. La classica porcata nella porcata, per gli amanti del metà erotico. Forse il peggior film di Bava jr parametrato al budget avuto a disposizione.
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