Regia di Joseph Ruben vedi scheda film
Cosa succederebbe se una persona si trovasse nella reale condizione di dover risolvere uno dei più celebri dilemmi logici di tutti i tempi? Il dilemma del prigioniero, qui rivisitato in forma leggermente diversa, è il perno su cui gioca tutta la storia. Si potrebbe replicare che 110 minuti son tanti da dedicare solo a questo ma è un tempo ragionevole invece perché mette lo spettatore in condizione di uscire dalla finzione filmica e scindere le due morali che inevitabilmente, e non sempre consciamente come qui, si sviluppano. Quella soggettiva e quella indotta dal contesto filmico. La risposta è lampante, immediata e suggerisce subito un facile finale: devono andare a salvare il loro amico, sacrificando tre anni della loro vita. Si tratta di tre anni di libertà contro una condanna a morte. La risposta è lampante, certo, ma più passa il tempo più lo spettatore si immedesima e se si immedesima è costretto a farsi domande e chiedersi "ma io, cosa farei REALMENTE? Tre anni sono tanti, figurarsi in condizioni di stenti e privazioni..." A quel punto si capisce la potenza di questo film, la sua capacità di trasportare lo spettatore dentro il dilemma del prigioniero, non più come semplice entità ragionante ma come piena entità senziente, con le sue emozioni ed i suoi dubbi. Gli attori sono bravissimi, Phoenix e la Heche su tutti e sono parte integrante e potente di questo processo di immedesimazione, persino Vaughn riesce a far meglio dei suoi soliti, mediocri, standard. A tutto questo, che già sarebbe abbastanza, si aggiungono altri fattori di contorno che arricchiscono ulteriormente la storia e le tolgono una noiosa linearità, portando ad un finale a sorpresa. Su tutto si aprono due considerazioni. L'influenza negativa ed invadente degli organi di stampa che spesso sono tanto presi dalla frenesia di far notizia da abbandonare ogni remora morale. In tal senso il giornalista finisce per essere come l'osservatore di un fenomeno quantistico, modificando lo stesso evento che vuole misurare, con conseguenze che sono altrettanto imprevedibili nel mondo macroscopico che in quello microscopico. Inoltre salta all'occhio un confronto impietoso tra le cosiddette democrazie (di cui l'America si fa paladina indiscussa) ed i regimi autoritari. Nel discorso finale del giudice, si evincono in poche parole le discrepanze tra due mondi che sono diversi nella forma ma non per questo nella sostanza. Gli americani criticano i regimi autoritari ma di fatto sono portatori di valori corrotti, la droga circola liberamente come le armi eppure si permettono di giudicare quei paesi in cui ciò non avviene grazie ad un regime di regole più rigido. Ma allora chi sbaglia davvero? E perché ci si dovrebbe adeguare alla mentalità di un paese che è ipocrita allo stato dei fatti? Insomma, questo film merita di essere visto per tanti motivi sebbene di solito i remake (e questo lo è del francese "Forza maggiore") siano una spanna sotto gli originali. Voto: 7,5.
Al di sopra dei suoi standard.
Bravissima.
Grandioso, semplicemente.
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