Eureka, Shinji Aoyama, 2000
Summa poetica e stilistica del proteiforme Shinji Aoyama che ci delizia i sensi e penetra nei nostri sentimenti regalandoci 217 minuti in un bianco e nero virato al seppia.
Eureka è un'opera alquanto stratificata e progressista, perla assoluta del moderno cinema giapponese; il film è l'incarnazione definitiva di tutto ciò che interessa al regista, dalle tematiche contenutistiche alla cura formale ma andiamo con ordine.
L'inizio del film è subito emblematico e criptico e sembra profetizzare una catastrofe biblica (anticipando tra l'altro il suo futuro Eri Eri rema sabakutani): una ragazzina inquadrata attraverso una semi soggettiva con carrellata verticale scruta l'orizzonte delle campagne del Fukuoka annunciando l'arrivo di un'onda distruttiva. Onda che si materializzerà poco dopo arrivando a sconvolgere l'esistenza di tre soggetti (i nostri protagonisti).
Eureka, come gran parte del cinema del maestro Aoyama, propone al centro del contesto narrativo un'intelaiatura di film di genere confermato dal dirottamento di un bus e dall'agire ignoto di un serial killer che miete vittime su vittime. In realtà però tale struttura è solamente un pretesto per catturare l'attenzione dello spettatore e condurlo nei meandri dell'animo umano, presentandogli outsider della società abbandonati da tutto e tutti costretti altresì a confrontarsi con un trauma brutale e selvaggio (vero leitmotiv del regista).
Trauma affrontato mediante il viaggio (altro elemento caro al regista), un vagare libero che forse porterà ad una sorta di pace dei sensi e permetterà ai nostri soggetti di costruirsi un nuovo avvenire.
L'introspezione proposta dal regista è davvero complessa e profonda, laddove nasconde una feroce critica sociale (parenti serpenti che pensano solo ai soldi oppure istituzioni assenti), ed emerge un messaggio abbastanza chiaro: demoni non si nasce ma si diventa e se una persona vive in totale emarginazione, abbandono e degrado è molto probabile che abbraccerà la strada del "male" ...
Infine magnifica la regia; esaltazione totale "dell' immobilismo" tra infiniti piani sequenza o macchina da presa fissa (lo scenario "campagnolo" aiuta e non poco nel raggiungere tale scopo), soluzioni alternate a genialate anticonvenzionali.
Pensiamo al dirottamento del bus caratterizzato da un montaggio ellittico, particolari inquietanti, fuori campo di passaggio o sparatorie secche riprese con una certa freddezza documentaristica.
Magnifico anche il piano sequenza che segue un sandalo trasportato dalla corrente di un lago, sandalo che termina la sua corsa incastrandosi tra i rametti di un albero posizionandosi tra l'altro di fronte ad una lattina di birra: sandalo e birra precedentemente legati ad una persona cara al protagonista, alludendo pertanto alla sua morte (confermata poco dopo dalle forze dell'ordine, inette ed incapaci)...
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