Regia di Takashi Miike vedi scheda film
the happiness of Katakuris è una commedia grottesca, nerissima del grandissimo Takashi Miike. Rispetto all’originale la commedia di Miike calca più i toni sul grottesco, sul surreale, inserendo anche siparietti musicali davvero spassosi (e orrendi).
Da sottolineare che anche questo capolavoro non è mai stato distribuito in Italia.
Happiness of the Katakuris narra le vicende di una famiglia giapponese che ha aperto e gestisce un hotel sulle montagne. Nell'organizzazione e gestione del piccolo hotel sono indaffarate tre diverse generazioni: c'è il nonno, la coppia proprietaria dell'hotel e i loro figli. Il problema è che di clienti non ce n'è nemmeno l'ombra. Questa penuria di visitatori mette costantemente in crisi l'equilibrio della famiglia, perno fondamentale attorno al quale gira tutta la vicenda. Un bel giorno, però, in una tempestosa notte, arriva il primo cliente. Sembrerebbe essersi messo tutto per il meglio, ma il destino sembra avere un conto in sospeso con questa unita famigliola. Il cliente viene trovato il mattino dopo morto nella sua camera. Il padre, gestore principale dell'hotel e capofamiglia, deciderà di non rendere pubblica questa notizia per paura di ripercussioni negative sulla fama dell'hotel. Ma, da quel momento in poi, tutti i clienti che metteranno piede nell'hotel andranno incontro ad eventi spiacevoli.Happiness of the Katakuris è un film sulla famiglia, tema molto caro a Miike, su come l'unione del nucleo familiare possa essere l'unico mezzo possibile attraverso il quale trovare pace e comprensione, la famiglia come nido nel quale trovare protezione dal mondo esterno e, in un certo qual senso, anche da noi stessi.
Veniamo dunque alle parti più matte, che infatti funzionano di più. L’attitudine alla sperimentazione di Miike non viene risparmiata per nulla, e di questo ce ne si rende conto dopo neanche cinque minuti. Il prologo, infatti, è realizzato in gran parte in claymotion con animazione a passo uno, a dir poco spiazzante e disturbante. Le scene più violente ed estreme, tra le quali liti, omicidi e cataclismi naturali, sono tutte ottenute dall’animazione di pupazzi aventi sembianza degli attori. Vi do il tempo di rileggere per bene e magari di gustarvi questo contributo video, ché altrimenti se non lo vedete prendete per matto il sottoscritto.
Non solo si osa sul versante tecnico, ma anche in quello stilistico. Il Nostro avrà sicuramente pensato che una brillante ma in fin dei conti semplice commedia nera non potesse soddisfare il proprio appetito schizoide, quindi perché non masticare il tutto per risputare fuori un blob con inserti musical? E sembrerà assurdo, ma non solo le parti musicali funzionano, sono pure gustose, con canzoni pop orecchiabili e divertenti condite da coreografie tutte mossette da villaggio turistico, tonalità accorate, cavi che fanno volare e persino testo su schermo karaoke-style. Ed eccoci arrivati infine alle perplessità. Appurato che motivazioni/tema/messaggio arricchiscono la – se me la passate – poetica miikiana, che le sperimentazioni tutte matte non solo funzionano, ma probabilmente risultano essere le parti migliori, il rimanente – un buon 50% di pellicola – esce un po’ smorto, paradossalmente appesantito dalla normalità e con un ritmo fin troppo blando. Non so se questa sensazione sia dovuta all’accostamento forzato con l’originale coreano, essendomeli sparati praticamente uno dietro l’altro, ma tant’è. Ad esempio, la sequenza flashback sulla bizzarra ex-fiamma della figlia maggiore sembra davvero posticcia, inserita tanto per allungare il brodo e salvata giusto dalla simpatica parte musicale. Ed è proprio qui che casca l’asino del paraculo, perché di quella sagoma che è Miike non si capisce mai quale sia il confine tra “brutto voluto” e “brutto di esito”, se le parti che palesemente non funzionano siano realmente state concepite per suscitare questo tipo di pensiero o siano davvero fatte male brutteinculo e basta.
In conclusione,Il film è una riflessione sulla vita, sulla morte, sulla felicità e sull’amore, e quanto più lo spettatore cerca, tanto più ci troverà. In tutto ciò, “difformità” è ovviamente la parola d’ordine. Dalla continua e folle positività che la famiglia cerca di mantenere, ad un finale più ambiguo che mai, dalla rottura di tutti i soliti cliché cinematografici, ai corteggiamenti di un improbabile personaggio basati su palesi menzogne e assurdità. Ebbene, la genialità dell’opera sta nel meditare sull’esistenza ridicolizzando la stessa, senza però mai cadere nella banalità o nella stupidità. L’opera che si presenta a noi è tutta una gran presa in giro, una grande parodia di come è la società nipponica estremizzandone i caratteri più assurdi ma non per questo non verosimili.
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