Regia di Takashi Miike vedi scheda film
Non si può certo dire che Takashi Miike cerchi il plauso della critica e l'amore d'ogni cinefilo, egli ha sempre percorso le strade più ostiche per mostrare il proprio talento, salvo poche eccezioni. Questa spudoratezza, per lo meno, lo ha visto diventare punto di riferimento per gli amanti del cinema estremo, regista libero da ogni filtro davanti a bagni di sangue senza fine. Certo, verrebbe da dire che il riconoscimento di figura cult per gli amanti del cinema splatter è comunque una magra consolazione per un regista ben più profondo di quanto sembri in superficie. Col manga Ichi The Killer di Hideo Yamamoto, Miike è invitato a nozze: sono già impressi sulla carta tutti gli elementi cari al regista giapponese, egli non dovrà far altro che trasporre questi dieci volumi in due ore di anarchia cinematografica pura. Innanzitutto però, al di là delle apparenze, con questo film Miike porta in scena individui privati di ogni sensibilità, pagliacci messi in riga dal regista che verranno scherniti a turno per la propria ipocrisia. Ad uno ad uno questi "birilli" precipitano al ritmo cadenzale di un'esecuzione, mentre magari Ichi e Kakihara commettono un'altra efferatezza, mano a mano anche tutti gli altri personaggi perdono quell'iniziale differenza fra buoni e cattivi, o meglio, fra più spregevoli e meno spregevoli. Miike ci mostra un padre-sicario preoccupato per la sorte del proprio figlio, che poi in un momento di collera si sfoga su una ragazza inerme uccidendola. Miike ci mostra una coppia di sadici fratelli che da dentro la polizia si diverte a torturare e uccidere chiunque gli capiti sotto mano, fratelli solo per una coincidenza biologica, in realtà pronti a ridere della morte dell'altro. Non è semplicemente un surreale affresco yakuza quello che Miike ci propone, sono tante e ripetute le azioni che sottolineano la totale mancanza di sensibilità dei protagonisti, da un incidente simulato solo per conoscere la persona che si ha appena investito, fino alla manipolazione mentale di un ragazzo disturbato per portarlo a compiere degli omicidi. Questa devastante centrifuga dentro cui sono gettati i personaggi del film, graziati o meno di arrivare con le budella intatte alla fine delle due ore, sembra sottolineare l'elemento di sadismo e menefreghismo che li anima, senza distinzione. Una rincorsa fra assassini di diverso colore, corpi senz'anima che in certi casi non sembrano nemmeno più capaci di provare dolore, cadaveri ad occhi aperti che non hanno alcuno scopo nella vita se non cercare di sopraffare gli altri. Una volta che Miike ha formulato questa postula grazie alla sua fenomenale regia, a metà fra il post-moderno e il classicismo assoluto, ha carta bianca per sbizzarrirsi col suo amore per lo splatter; ciò che non viene sempre compreso è che questo però viene dopo: contano ben poco gli scrausi effetti speciali fatti al computer, oppure i tocchi di demenzialità che possono sembrare fuori luogo, essi sono elementi in più che non intaccano il cuore del film di Miike. Per questo non sono d'accordo quand'egli viene accusato di essere un volgare macellaio senza nulla da comunicare allo spettatore. Semmai egli non si fa vergogna a mostrare il lato più morboso dell'essere umano, a partire dal proprio ruolo di regista, dando spazio a eccessi spesso tagliati perché troppo fastidiosi; Miike non ha paura a mostrare per primo la sua di attrazione per l'efferato, cinematograficamente parlando si intende, così come fanno quotidianamente tante persone lungo fantasie tenute nascoste agli altri. Ben poco toglie alla bellezza generale del film una persona tagliata a metà di netto grazie ad una lama, oppure la delirante scena in cui Shinya Tsukamoto si trasforma da piccolo ometto in un culturista coi muscoli appiccicati sopra al computer (Nemmeno in Tokyo Fist ci sarebbe riuscito!). Anzi, il mio gusto per l'assurdo e per la violazione di ogni regola mi fa amare ancor di più questo film, intensa miscela di spunti geniali uno più iconico, e iconicoclasta, dell'altro.
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