Regia di Alessandro D'Alatri vedi scheda film
Anche questo film di D'Alatri è un tassellino in quella che si potrebbe definire la "ripresina" del cinema italiano. Il regista romano, ormai cinquantenne, non è un Autore con la A maiuscola, ma è uno che conosce bene il suo mestiere: viene dalla gavetta, è un apprezzato autore (con la a minuscola) di spot commerciali e tecnicamente sa il fatto suo. Nell'ambito del cinema "medio", quello senza grandi pretese artistiche, seppure di grande dignità, è uno dei nostri migliori talenti. "La febbre" parte bene, con quella storia credibilissima di un giovane di provincia, indolente fuori corso di Architettura, che sogna di aprire un locale notturno insieme agli amici d'infanzia. Come capita sempre più spesso, la storia si arena quando entra in scena "il grande amore". Il regista diventa improvvisamente impacciato e accumula troppi particolari logori, abusati e poco credibili (la ragazza bellissima e bravissima che fa la cubista per mantenersi... ma non ha una famiglia?).
Il film si fa comunque vedere, alternando alcune pagine ambientate all'interno degli uffici comunali (ne so qualcosa...) che ricordano il romanzo "La donna della domenica" di Fruttero & Lucentini, ad altre buttate là un po' per sentito dire (il geometra comunale che va per le case a riscuotere? ma va là...). Il finale, volutamente alla Frank Capra, non scontenta nessuno, anche se puzza un po' troppo di buonismo.
All'attivo del film c'è sicuramente la prova di Fabio Volo, uno showman che meriterebbe di essere sfruttato di più e meglio dal nostro cinema. Accanto ad altri interpreti di valore (Foà, Ponzoni, Trabacchi, Bagliani, Franceschi, il figlio di Enzo Jannacci, tale e quale al padre per presenza e voce), c'è Valeria Solarino, che è solo bella, anche se ci sembra in grado di recitare parti più sostanziose di quella della Linda ("Balla, Linda") che balla sul cubo.
Molto bravo: da sfruttare meglio.
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