Regia di Susanne Bier vedi scheda film
I destini di due fratelli si biforcano: nello stesso giorno uno esce di galera e l’altro parte per una missione di guerra in Afghanistan. Poi il secondo viene creduto morto, e i rapporti familiari di chi è rimasto cercano faticosamente di riassestarsi senza di lui. Susanne Bier imposta il tema che poi svilupperà nei successivi Dopo il matrimonio e Noi due sconosciuti: il tentativo di sostituire una persona cara che è scomparsa. Ma le cose non vanno come ci si può aspettare (il titolo italiano, benché suggestivo, è del tutto fuorviante). Il fratello ‘buono’ ritorna vivo, ma con un segreto terribile sulla coscienza (è stato costretto a uccidere un compagno di prigionia) e non riesce più a reinserirsi nell’ordine borghese: ormai è un diverso, perché ha fatto esperienza dell’orrore e ne è stato segnato; i suoi sensi di colpa sono quelli di tutta una civiltà fondata sull’esercizio della violenza, e la sua vicenda mostra drammaticamente su quali fragili equilibri si regge la nostra felicità e quanto sia facile comprometterli (la morale non è certo quella che “la guerra mette a rischio la felicità del salotto e della camera da letto”, come vuole la semplicistica recensione di Bocchi). Un po’ scontato solo il sottofinale, con la riunione di famiglia che come al solito diventa l’occasione in cui esplodono le tensioni represse: la regista, a quanto pare, ha sempre qualche problemino in fase di chiusura.
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