Regia di George A. Romero vedi scheda film
Bruiser segna il ritorno del grande George A. Romero nel mondo del cinema, si tratta però di un rientro fiacco pur se favorito da un budget non proprio secondario. Il padre degli zombi cinematografici scrive e dirige una storia sulla vendetta messa in atto da un uomo di tutti giorni, un impiegato succube del megalomane datore di lavoro (titolare di una rivista) e di una compagna che si è messa con lui perché lo credeva talentuoso e dunque un potenziale uomo in carriera. La scarsa fortuna riscontrata sul lavoro e la graduale piega verso la vita del modesto impiegato portano la donna ad abbandonarlo scatenando un'ira controllata e indirizzata contro coloro che lo hanno in qualche modo tradito o deluso. Ne esce fuori una sorta di poliziesco lento, con poca verve e non riuscito sul versante del coinvolgimento. Romero introduce l'idea della maschera che si sostituisce al volto del protagonista, contro la volontà dello stesso che non riesce più a trovare il vero volto, un po' come il protagonista de Il Naso di Gogol che si risveglia una mattina sprovvisto del naso senza che se ne capisca il motivo. Qua invece il protagonista perde la faccia nel vero senso della parola per ritrovarla a fine film, a vendetta completata, un po' come il protagonista del celebre racconto dello scrittore russo. Un po' poco per salvare il film, con Romero che va così a "spersonalizzare" la mattanza messa in atto dal protagonista (uno scialbo Jason Flemying) che uccide celandosi dietro una maschera bianca che ha assunto la forma della pelle un po' come faranno qualche anno dopo i fratelli Wachowski in V per Vendetta. Quello che qui manca è il senso dell'azione. E' vero che c'è un omicidio girato con gusto argentiano, chissà se sia un omaggio alla collaborazione con cui George A. Romero si era allontanato dal cinema (rif. a Due Occhi Diabolici), ovvero quello della donna del protagonista: la bonissima e prosperosa Nina Garbiras (attrice di serial televisivi) frullata fuori da una finestra di un grattacielo e impiccata in pieno centro stile Suspiria. Cruento anche l'assassinio della bigotta e falsa Soldana interpretata dalla Pizano ma niente a che vedere con la furia splatter dimostrata altrove dal regista. Non è questo il problema, tuttavia, bensì l'assenza di quei forti contenuti di rilievo sociologico che hanno fatto la fortuna dei film di Romero (maestro di un horror che potremmo definire di rilievo sociale), qua appena abbozzati dal contesto materialista ed eticamente corrotto che costituisce il mondo in cui si forgia la sete assassina e vendicativa del protagonista, tutto sommato un bravo ragazzo che uccide prima se stesso, a livello di anima (si nota la bontà quando ragiona sul tipo che si è suicidato in diretta radio), e poi chi lo ha portato a prendere tale parabola. Ricorda in questo, seppur vagamente, il personaggio di Dorian Gray pur non condividendone la caratterizzazione, ma piuttosto la parabola infernale con un elemento che ne cela la vera natura.
A cadere sotto il cattivo occhio che pretende il ripristino di quella giustizia che la vita non riesce a offrire sono un capo gigionesco (bravo Stormare) che tratta male i dipendenti, si atteggia in modo dispotico e sfrutta le bellezze femminili per i suoi appetiti sessuali con queste ultime che si svendono per una copertina (caratterizzazione ultra stereotipata), quindi la classica figura dell'amico inseparabile che non perde occasione per truffare chi ha riposto fiducia sul valore dell'amicizia e infine, la goccia che fa traboccare il vaso della follia, una fidanzata meschina che è attaccata al potere e al successo piuttosto che alla persona e ai valori nobiliari della animo umano. Più interessante è il tentativo operato da Romero, questo sì di rilievo sociale, relativo alla spettacolarizzazione della morte per fare share o comunque da condividere con la massa degli spettatori di una trasmissione radio o gli astanti di una festa da ballo, così tanto per fare spettacolo, quasi come deriva impazzita di un'esaltazione della morte che sconfina dal mondo creativo per entrare in quello della vita di tutti i giorni (eloquente, a tal riguardo, gli effetti speciali che nella festa da ballo finale diventano strumenti di morte) con interesse che diviene distaccato delle persone come se fossero i destinatari di uno spettacolo a cui si è pagato il biglietto e che, in fin dei conti, finisce con l'annoiare perché già rivisto.
Di rilievo, per gli amanti dei B-Movie, la presenza del "carpenteriano" Tom Atkins nei panni del poliziotto che cura le indagini, forse a voler richiamare quel Michael Myers di Halloween che l'assassino di Romero va un po' a ricordare, con quel volto bianco smorto che ne costituisce la maschera assassina, specie quando lo vediamo affiorare dalle zone d'ombra.
Insomma, poco di originale all'orizzonte pur se messo in scena al servizio di una discreta confezione tecnica sia sul versante della fotografia che delle scenografie. Bruttina la colonna sonora con una cover finale di Take on Me (storico pezzo degli A-Ha nel cui video c'è proprio, guarda caso, l'idea della compenetrazione tra fantasia e realtà con confusione e sostituzione delle stesse). Un Romero a metà servizio e un film poco personale, pur se con qualche buona idea embrionale. Evitabile.
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