Regia di George A. Romero vedi scheda film
Diciamo subito che purtroppo in questo caso non ci troviamo di fronte al miglior Romero.
Realizzato grazie ai finanziamenti (determinanti) di Canal Plus, Bruiser - Revenge has no Face, è un'opera poco riuscita e piuttosto banalotta nel suo complesso, anche se qua e là lascia trapelare quello che si potrebbe definire il Romero touch, che non è però sufficiente a nobilitare il risultato complessivo.
Il film è molto debole: possiamo considerarla una pellicola che si inquadra in un genere che una volta veniva definito "B-movie", ma il problema principale del suo non essere all'altezza con lo standard abituale del regista, non riguarda certo questo aspetto perché non è stata mai la limitatezza dei mezzi a tarpare il suo talento e inibire la sua fantasia. E' l'operazione nel suo complesso che non convince (e che si riflette negativamente sulla confezione che è incerta e pressappochista).
Prevedibilissimo anche il soggetto che non può contare nemmeno su personaggi particolarmente accattivanti, se si eccettua il cattivo ben messo a fuoco dall'intensa caratterizzazione di Peter Stormar.
Siamo quasi in un terreno neutro: per niente splatter, ha anche troppo pallidi risvolti horror per risultare davvero avvincente, tanto che si potrebbe benissimo definire una innocua favola un pò dark, ma singolarmente (come non è di solito nelle corde di Romero) a lieto fine.
Ovviamente il regista non smentisce nemmeno questa volta la sua vocazione sessantottina, ma questa specie di parabola, è troppo moralista anche quando poi se la prende con il mondo insulso e vuoto dei manager dell'industria del superfluo.
Romero ci mette dentro tutta l'ironia che può per tenere in piedi la baracca, e qualche picconata va decisamente a segno (ci mancherebbe altro che non accadesse!). Per esempio quando spara a zero sul capitalismo rampante americano, o meglio sull'assenza di identità di un popolo in assenza di un cospicuo conto in banca. Fra le tante dichiarazioni rese da Romero all'indomani della programmazione in sala della pellicola (che se non erro transitò anche dal 18° Torino Film Festival) mi sembra in questa senso particolarmente rilevante la seguente: Avete idea di quanti crimini vengono commessi negli Stati Uniti per un paio di Nike o di Adidas? perché alla fine potrebbe essere proprio questo il messaggio e l'avvertimento che voleva lanciare con la sua opera (e che adesso dovrfebbe riguardare davvero l'intero mondo industrializzato, visto come stanno progredendo le cose anche da noi).
Potrebbe allora ambire ad essere una graffiante denuncia (ma non è sufficientemente incisiva la sua rappresentazione per acquisire la forza necessaria).
Forse era opportuna una maggiore attenzione nella definizione dei personaggi, perché qui è proprio il protagonista ad a essere deficitario, a non avere lo spessore luciferino che il suo ruolo doveva pretendere (un altro limite insormontabile, visto che anche l'interprete è debole e non riesce mai a fare - e farci - veramente paura). Al massimo può essere percepito come un povero diavolo messo a dura prova dal destino che diventa "eroe" suo malgrado: la sua donna va a letto con l'odioso principale proprio sotto il suo naso, arriva e parte a suo piacimento e senza spiegazioni, lo costringe a sopportare in casa un odioso cane ringhioso, e lo umilia spesso puntando proprio sulla sua remissività.
Un uomo dunque che a un certo punto però non sopporta più di subire, o meglio si sveglia una mattina per rendersi conto che la sua passività gli ha fatto perdere letteralmente la faccia : una specie di pongo bianco gli copre il viso, diventato così senza lineamenti, senza espressione e dunque adesso anche lui può lasciare da parte il perbenismo e diventare un individuo "senza più remore" e inibizioni imposte dalla coscienza. Non è più nessuno, non ha alcuna identità definita e quindi, paradossalmente, può ricercare se stesso fino in fondo e accettare le pulsioni più represse e profonde di rivolta per diventare lo strumento del castigo e riuscire finalmente a vendicare i soprusi che ha sempre dovuto subire.
Prevedibilmente, se la prende allora con il capo che lo umilia, con la ragazza che lo tradisce, addirittura con la cameriera portoricana che lo imbroglia e gli ruba i soldi dal portafoglio con una inversione comportamentale davvero a 360 gradi.
Normale amministrazione, insomma (o forse troppo poco o troppo semplice) nell'ipotizzare e indicare che l'invisibilità può rappresentare l'elemento (e l'alibi) catalizzate per far scatenare i sentimenti belluini di rivolta... Peccato davvero: un'occasione (parzialmente) mancata dalla quale era invece lecito attendersi molto di più.
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