Regia di Park Ki-Hyung vedi scheda film
Soprannominata "vecchia volpe", l'odiata professoressa Park si trattiene a scuola oltre l'orario delle lezioni per consultare gli annuari del 1989, 1993 e 1996, nei quali scopre qualcosa di terrificante. Chiama immediatamente l'ex allieva Eun-young per comunicarle che Jin-ju, suicidatasi nove anni prima nell'aula di educazione artistica, si aggira nell'edificio. La telefonata si interrompe bruscamente, la professoressa Park viene aggredita dal fantasma di Jin-ju, che la impicca e la appende al passaggio sopraelevato della scuola... Come osserva Darcy Paquet, il titolo originale di "Whispering Corridors", "Yeo-go-kuei-dam" significa "Storia del fantasma del liceo femminile". Pur essendo il "kuei-dam" (racconto di fantasmi) un genere tradizionale coreano in cui le anime dei morti orribilmente sono impossibilitate ad andare nell'aldilà, l'esordio al lungometraggio di Park Ki-Hyung (classe 1967) è di un'importanza cruciale per il New Korean Cinema: il suo inaspettato successo di pubblico (oltre 2 milioni di spettatori) ha infatti spalancato le porte alla produzione horror di ambientazione scolastica con ben tre sequel diretti ("Whispering Corridors 2: Memento Mori" del 1999, "Whispering Corridors 3: Wishing Stairs" del 2003 e "Whispering Corridors 4: The Voice" del 2005) e altri prodotti similari (basti citare "To Sir, With Love" del 2006). Ma il successo commerciale non è il solo motivo di pregio di un film troppo spesso considerato "più importante che bello" (espressione di raccapricciante stupidità): se infatti la denuncia del sistema scolastico autoritario, ultracompetitivo e repressivo è l'autentico nucleo tematico della pellicola (cosa che ha mandato in sollucchero i sostenitori del "messaggio sociale"), ciò che rende "Whispering Corridors" un film effettivamente efficace è il modo in cui gli elementi di critica sono amalgamati all'estetica horror. Lungi dal ridursi ad uno sterile elenco di storture e sopraffazioni istituzionalizzate, insomma, l'esordio di Park distilla crudeltà e atrocità con uno stile gelido e frontale che predilige la crudezza stilizzata all'eccesso da grand guignol. Vanno in questo senso gli splendidi freeze frame che screziano il ritrovamento del cadavere impiccato della professoressa Park, le atmosfere desolatamente sinistre che impregnano l'edificio scolastico e lo spiccato realismo nella rappresentazione del fantasma di Jin-ju: tutte soluzioni stilistiche che mantengono il film in mirabile equilibrio tra incubo e normalità, assicurandogli tenuta drammatica e incisività critica. Ancora una volta la carta vincente dell'horror a sfondo sociale risiede nella sua capacità di riscrivere le dinamiche della quotidianità sotto forma di angoscia terrificante, smascherandone così il potenziale di aggressività e violenza tacitamente istituzionalizzato e altrettanto silenziosamente praticato.
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