The Quiet Family, Kim Jee-woon, 1998
Nel 1999 la Corea del Sud entra in una nuova gloriosa età dell'oro, ancora oggi splendente, ed il film che sancisce l'inizio del sogno è il sorprendente Shiri di Kang Je-gyu tuttavia nella penisola sud-coreana già da qualche anno si respirava aria di cambiamento alludendo pertanto ad una possibile rivoluzione; pensiamo a Green Fish di Lee Chang-dong (che getta le basi del "noir alla coreana") oppure a questo bizzarrissimo ed anarchico The Quiet Family, firmato da un poco più che trentenne Kim Jee-woon.
The Quiet Family è una tragicommedia grottesca ambientata in un vecchio rifugio di montagna gestito da una stramba famiglia allargata capeggiata da Tae-gu Kang [interpretato da Park In-Hwan, che i più navigati ricorderanno ner recente e fantastico The Odd Family: Zombie on Sale; poi impossibile poi non citare i due cugini interpretati da due giovani Song Kang-ho e Choi Min-sik]; film che a poco a poco evolve in una sorta di slasher-movie con la famiglia che si ritrova ad ammazzare nei modi più insoliti ed involontari clienti su clienti, scoprendosi inoltre fenomenali nello scavare buche (attività che riunisce il nostro disfunzionale nucleo familiare).
The Quiet Family oltre ad un soggetto davvero interessante, per quanto limitato dal contesto stesso (ed infatti nel finale gira un pochino a vuoto su se stesso), esibisce poi una regia piacevolmente altezzosa e ricca d'inventiva; certo Kim Jee-woon non raggiunge ancora il delirio virtuosistico di un Il buono, il matto, il cattivo ma riesce già a gettare le basi per la costruzione di una precisa poetica, incentrata tra l'altro sul concetto di ironia (riproposto sempre nei film a seguire ed esplorato in profondità in tutte le sue declinazioni).
Andando nello specifico cito i due piani sequenza iniziali che esplorano i corridoi e la receptionist del rifugio, privi di qualsivoglia presenza umana.
Pensiamo altresì alla sequenza che anticipa la scoperta della prima vittima con il regista che sfoggia una costruzione della tensione, a tinte horror, da leccarsi i baffi: soggettive, false soggettive, primi piani con momento selettivo, rumori fuori campo ed oblique dall'alto sono ingredienti perfetti per gli amanti della buona e ricercata regia.
Fantastico anche l'omicidio fuori campo del poliziotto oppure la macchina da presa fissa posizionata tra i cespugli che osserva da una giusta distanza i nostri protagonisti seppellire l'ennesimo cadavere.
PS nel 2001 Takashi Miike realizza il suo personalissimo remake con Happiness of the katakuris.
Mi perdonerà Kim Jee-woon ma il buon Miike supera, e di gran lunga, il collega coreano realizzando un folle musical a tecnica mista (uno dei miei film preferiti del maestro)...
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