Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film
Secondo lungometraggio di Kim Ki-duk, "Wild Animals" è un film di un'ingenuità tale da sfiorare il ridicolo o il sublime a seconda dei punti di vista. Prendendo spunto dalla sua esperienza parigina (durante la quale cercava di sbarcare il lunario facendo il pittore di strada), Kim imbastisce la storia d'amicizia contrastata di due sradicati coreani in Francia (i "Wild Animals" del titolo). I due vengono reclutati dalla malavita locale per sbrigare gli affari più sporchi, ma finiscono per inimicarsi tutti e scavarsi la fossa da soli. L'intreccio è a dir poco contorto (i colpi di scena e le brusche sterzate non si contano) e la messa in scena è al limite del dilettantesco (particolarmente disastrosa risulta la direzione degli attori francesi). Kim non sa che pesci pigliare (a dire il vero li infila anche nel ventre di uno dei personaggi) e la butta spesso sull'estetizzante (come dimostra l'insistenza su un ritratto di Kees van Dongen e su una statua di Rodin che tornano a scandire "artisticamente" il progredire degli eventi). Ma in tutta questa pletora di avvitamenti e ammiccamenti qualcosa si produce: per quanto pasticciata e velleitaria la composizione possiede una sua intensità squisitamente delirante e qua e là si percepisce la capacità di organizzare la scena attorno a un oggetto drammatico ben definito (delle manette, una candela, un complesso marchingegno che lega una pistola al piede di una donna). E almeno una sequenza lascia davvero il segno: quella in cui Hong-san, ex soldato nordcoreano che è riuscito a disertare dall'esercito, si masturba riflesso dalla lastra di vetro del peep-show in cui si esibisce la sua amata (e disperata) Laura. Particolarmente goffi i tentativi di alleggerire i toni con gag comiche. La traduzione letterale del titolo coreano è "Zona protetta degli animali selvaggi".
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