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La morte sospesa

Regia di Kevin Macdonald vedi scheda film

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La recensione su La morte sospesa

di maurizio73
7 stelle

McDonald costruisce un documentario che piega la potenza espressiva del racconto filmico alla narrazione di una verità biografica in cui la passione e la tecnica alpinistica rappresentano un atteggiamento di sfida nei confronti della vita che richiede una ferrea disciplina e l'accettazione incondizionata di un codice etico incomprensibile ai più.

Storia vera della tragica impresa degli alpinisti britannici Joe Simpson e Simon Yates che scalarono per la priva volta la parete Ovest del Siula Grande andino nel 1985. Costretto da una situazione disperata ad abbandonare l'amico durante la discesa dopo che questi si era gravemente ferito ad una gamba, Yates riesce fortunosamente a raggiungere il capo base ed attende un paio di giorni insieme ad un terzo compagno rimasto a valle prima di ripartire. Quando ormai lo credevano morto, Simpson riesce a sua volta a raggiungere gli altri due in condizioni di forte disidratazione, in grave stato confusionale e raccontando una storia di sopravvivenza ai limiti delle possibilità umane.

 

locandina

La morte sospesa (2003): locandina

 

Tratto dal soggetto che lo stesso Simpson adatta dall'omonimo libro autobiografico pubblicato nel 1998, il premio Oscar Kevin Macdonald filma un resoconto semidocumentaristico avvincente e drammatico, che alterna una ricostruzine romanzata dei fatti con il racconto a tre voci dei protagonisti originali: una storia di amicizia e di coraggio in cui la passione e la tecnica alpinistica rappresentano, prima che la manifestazione di uno spirito d'avventura fuori del comune, un atteggiamento di sfida nei confronti della vita che richiede una ferrea disciplina e l'accettazione incondizionata di un codice etico incomprensibile ai più.
Raccontava Buzzati parlando nel 1966 della tragedia speleologica di Roncobello: "L'alpinista, all'insù o all'ingiù, dal momento che parte per l'impresa, è disposto a pagare fino in fondo, a non chiedere niente a nessuno. Se vince, è felice per quella intima e, se volete, strana soddisfazione interna. Se perde, tace. Come il giocatore di classe che rischia tutto per il tutto sul tavolo verde; e se perde non bestemmia...Tutto era calcolato in partenza". Approccio rigoroso ad un tema pure abusato come è il survival movie da tragedia alpinistica, McDonald costruisce un documentario che piega la potenza espressiva del racconto cinematografico alla narrazione di una verità biografica che ci precipita nell'inferno lastricato di un deserto di ghiaccio (dove paradossalmente una delle cose più difficili è proprio dissetarsi), in cui la perizia tecnica tra chiodi da neve, discensori e cordini prusik ha, nei frangenti in cui il rischio è maggiore e la situazione quasi disperata, la stessa importanza di una disposizione psicologica in cui l'abnegazione e lo spirito di sopravvivenza rappresentano una condizione di salvaguardia del cervello fermo sul baratro della follia e dell'inazione senza speranza. Alternando l'incanto scenografico di un'ambientazione alpina dalle peculiarità microclimatiche uniche (che orlano le cime peruviane con intarsi barocchi di "morene cornici e protuberanze" mai viste altrove) con un resoconto realistico di una discesa percorsa in condizioni proibitive, il film procede con il ritmo serrato di un montaggio millimetrico e la stretta implacabile di una tensione che si attarda solo nei momenti di riflessione dello sfortunato protagonista di fronte al cul-de-sac di una tomba speleologica in alta montagna ("I crepacci sono luoghi paurosi, incutono una sensazione di terrore. Non sono un luogo adatto ai vivi"), per concludersi sul registro vagamente espressionista di una psiche alterata dallo sfinimento fisico e dalla prostrazione psichica (sulle note ossessive e surreali di 'Brown Girl in the Ring' de i Boney M.) che anticipa di molti anni il James Franco versione coyote-in-trap di 127 Hours: l'allucinata e penosa discesa, scivolando lungo l'insidioso dedalo di crepacci del ghiacciaio ed arrancando tentoni tra le brulle asperità della vallata morenica (similmente al mostro semivivo di Peter Shuyler Miller in 'Oltre il fiume') è l'ultima, disperata stazione di una via crucis in cui la livida carcassa di ciò che resta di un uomo un tempo forte e giovane, si trascina fino alle soglie di una insperata salvezza od alla resa definitiva alla propria, stremata impotenza di essere mortale. Epilogo a lieto fine e con l'inevitabile messaggio di consolazione (ma è tutto vero!) di una giustificazione etica che storna dall'amico le colpe che il mondo 'là fuori' gli avrebbe presto attribuito e che ci insegna che chi accetta il rischio di sentirsi più vivo con intraprese del genere non cerca la comprensione degli uomini, ma solo il loro incondizionato rispetto.
Vincitore del premio Alexander Korda ai BAFTA Awards 2004, Premio per la Miglior Fotografia e il Miglior Documentario ai British Independent Film Awards 2004 e indicato fra i trenta film chiave del primo decennio del XXI secolo.

 

 

"Dal mondo di memorie perdute che aveva lasciato, gli tornò alla mente il mormorìo dell’acqua corrente. L’acqua gli avrebbe saziato la sete. Poteva sentirla scorrere attraverso la montagna sottostante, attraverso la nebbia, la sentiva rimbalzare sulle nude pietre, gorgogliare attraverso tunnel di radici e di muschio. Percepì l’acqua molto lontano, giù nella valle, la sentì mulinare contro i massi e rimbalzare contro i ripiani rocciosi con il suo vigore spumeggiante. Mentre era fermo in ascolto, un freddo insistente s’impadronì di lui, come se fosse passata un’ombra, ma presto quella sensazione lo abbandonò. Lentamente, penosamente, cominciò ad aprirsi un sentiero per scendere verso la valle."

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