Regia di Kevin Macdonald vedi scheda film
“L’uomo è davvero piccolo rispetto alla grandezza della natura”. Diceva così Vladimir Arseniev, il capitano dell'esercito russo protagonista di "Dersu Uzala" di Akira Kurosawa, mentre era impegnato, agli inizi del ventesimo secolo, ad effettuare dei rilevamenti topografici negli sterminati paesaggi della Siberia. La stessa cosa, probabilmente, devono averla pensata anche i protagonisti di questo bellissimo ed emozionante film, che ricostruisce una vicenda realmente accaduta. Siamo nel 1985, nelle Ande peruviane: il venticinquenne scozzese Joe Simpson e il ventiduenne inglese Simon Yates, entrambi alpinisti, hanno deciso, nonostante il clima estremamente rigido, di tentare di scalare la Siula Grande, una montagna alta 6344 metri, passando dal lato ovest, un versante assai ripido che ha sempre respinto chiunque abbia provato a superarlo.
Arrivati in cima con relativa facilità, durante la discesa si verifica un incidente che complica maledettamente la loro spedizione: Joe, infatti, mentre sta piantando una piccozza, scivola e si rompe una gamba all’altezza del ginocchio.
Con quest'ultimo impossibilitato a muoversi, e senza più acqua né gas con il quale avrebbero potuto sciogliere la neve per dissetarsi, la situazione in cui si trovano i due uomini comincia a farsi decisamente critica.
Dopo lunghi attimi di panico, Simon decide di provare a calare Joe lungo il pendio mediante una corda: seppur con grande fatica, la cosa sembra funzionare, almeno fino al momento in cui Joe non sfugge al controllo di Simon, rimanendo così sospeso nel vuoto.
Non riuscendo più a vedere dove sia finito il suo amico, Simon non ha altra scelta che tagliare la corda per poi proseguire la discesa da solo. Joe però, contrariamente a quanto crede Simon, è ancora vivo, anche se a seguito della caduta provocata dal taglio della fune è finito dentro un crepaccio da cui pare impossibile uscire.
Mentre egli è impegnato, con una gamba rotta, a trovare una via d’uscita da quel baratro prima che lo stesso diventi la sua tomba, Simon procede da solo nella discesa verso valle, completamente ignaro di quello che sta accadendo al suo compagno di cordata.
Traendo spunto dal libro “Toutching the Void” di Joe Simpson, il regista Kevin Macdonald racconta una storia intrisa di eroismo e sofferenza: quella di Joe e Simon è una sfida - contro ogni logica umana - alla natura, la quale li costringe a prendere decisioni difficili (come quando Simon deve decidere se tagliare o no la corda con cui sorregge Joe) in condizioni di estremo disagio, quindi senza neanche avere il tempo di rifletterci più di tanto.
Joe e Simon rischiano consciamente la vita per misurare i loro limiti, a conferma del fatto che l’uomo è continuamente desideroso di mettersi alla prova, anche a costo di trovarsi in situazioni disperate che lo obbligano a fare i conti con le dure leggi della natura, di fronte alle quali l’essere umano appare quasi inerme.
Quasi perché, come ci mostra questo film, le circostanze più sfavorevoli, a volte, si possono superare con la caparbietà, il coraggio e la forza di volontà, tutte doti che non fanno certo difetto a Joe Simpson, dal momento che egli, con una gamba spezzata, vincendo la disperazione, è riuscito ad uscire vivo dal crepaccio nel quale era precipitato proprio grazie alle sue virtù.
E’ un film affascinante, “La morte sospesa”, che vanta numerosi pregi, a cominciare dalla regia di Macdonald, che si rivela perfetta, soprattutto nella scelta, azzeccata, di ricostruire il tutto adottando lo stile del documentario.
Con un montaggio sapiente, curato da Justine Wright, vediamo le interviste ai due scalatori che hanno vissuto sulla propria pelle quella terribile spedizione alternarsi alle sequenze (interpretate da attori veri: Nicholas Aaron nei panni di Simon Yates, Brendan Mackey in quelli di Joe Simpson) che ci mostrano come siano andate realmente le cose in quella impegnativa e angosciosa scalata.
Sebbene sappiamo già dall'inizio che tutto alla fine si è comunque risolto per il meglio, la suspense non viene mai meno, tanto è vero che in molti momenti siamo costretti a seguire il film con il cuore in gola.
Macdonald, poi, attraverso riprese suggestive, riesce a restituire allo spettatore l'immensità della montagna, le cui immagini mozzafiato (notevole la fotografia di Mike Eley e Keith Partridge) donano ulteriore fascino a questo splendido documentario dallo spirito herzoghiano (a proposito: sul tema dell'alpinismo il regista tedesco girò quella che probabilmente è l’opera peggiore della sua carriera, ovvero "Grido di pietra").
A voler cercare il pelo nell'uovo, un piccolo difetto il film ce l'ha: alla fine, infatti, abbiamo come l’impressione che il regista non abbia voluto indagare a fondo sulle motivazioni che hanno spinto Simon Yates e Joe Simpson a rischiare la vita in un’impresa improba come quella di scalare la Siula Grande.
Forse, però, è giusto così: chi siamo noi per poter giudicare coloro che decidono di affrontare situazioni estreme come quelle che possono capitare agli alpinisti impegnati a scalare montagne impervie?
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