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Peppermint Candy

Regia di Chang-dong Lee vedi scheda film

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La recensione su Peppermint Candy

di Peppe Comune
8 stelle

1999. Un gruppo di amici si riunisce a vent'anni di distanza per svolgere sulle rive del fiume Han un identico picnic. Tra i membri della comitiva c'è Yong-ho (Kyung-gu Sol) che si presenta al raduno in pessime condizioni emotive. E' palesemente provato, parla a sproposito e inveisce senza motivo contro i suoi vecchi amici. Ad un certo punto si allontana dalla compagnia e si dirige verso i binari della ferrovia col chiaro intento di porre fine ai suoi giorni. Un istante prima di essere investito da un treno in corsa uno stacco d'immagine ci riporta  a tre giorni prima, ovvero, al secondo di sette capitoli che, percorrendo a ritroso vent'anni di vita di un uomo, ci raccontano le tappe fondamentali della sua travagliata esistenza e buttano più di un occhio alle vicende storiche di un paese percorso da profonde trasformazioni.

 

 

Peppermint Candy - recensione film.jpg

Peppermint Candy - Scena

 

"Peppermint Candy" di Chang-dong Lee è un film di struggente bellezza narrativa e di essenziale pulizia visiva. Caratterizzato da uno stile di montaggio che serve da solo a dare alla storia un alone di fascino conturbante. L'autore coreano fa precedere l'inizio di ogni capitolo con delle immagini in movimento riprese da un treno che si muove all'incontrario. È come se Yong-ho ci fosse salito su quel treno invece di farvisi travolgere e che andando a ritroso nel tempo cercasse il momento esatto in cui ha avuto inizio il suo calvario esistenziale, arrivare fino al 1979, al picnic svolto sulle rive dello stesso fiume e con le stesse persone di vent'anni dopo, quando conobbe la dolce Sun-im (Moon So-ri) e sbocciò il suo unico e vero amore grazie all'involontaria complicità di innoque caramelle alla menta (quelle del titolo), fonte di inestimabile dolcezza e segno di imperitura nostalgia per una felicità solo sfiorata. Passando per i guai col suo socio in affari e le speculazioni finanziarie che hanno prodotto ingenti debiti, la morte di Sun-im e un matrimonio andato male per i continui tradimenti della moglie, l'esperienza di "torturatore" nella polizia di regime come strenuo difensore dell'ordine costituito e quella nell'esercito come agente repressore delle rivolte studentesche. Il procedimento regressivo della storia adottato da Chang-dong Lee ha il chiaro intento di evidenziare, piuttosto che l'evoluzione progressiva di un malessere interiore, l'origine di una regressione emotiva cominciata con l'abbandono dei propri sogni e continuata con quella perdita dell'innocenza sancita dal regime militare sudcoreano. Si parte dagli effetti per arrivare alle cause dunque, per consentire un immersione cosciente in cicatrici grandi come voragini, che più si va avanti col film, più si torna indietro nel tempo e più si fanno piccole, fino ad arrivare all'inizio di tutto, all'origine di una colpa e alla fine degli anni più belli. Espediente questo che genera tanto una precisa complementarità filologica tra i due picnic svoltosi a vent'anni di distanza, dove l'uomo straziato dal male di vivere è preceduto (cronologicamente non narrativamente) da quello iniziato alle dolci note dell'innamoramento, quanto una stretta interdipendenza tra le particolari vicende di un uomo e quelle di un paese attraversato, prima dai demoni del fondamentalismo politico e poi dall'effimere sirene del capitalismo. Yong-ho è stato prima uno strumento del potere dispotico e poi un astuto speculatore finanziario (sempre cronologicamente). Questo lo fa aderire perfettamente alla storia del suo paese, ponendolo come un paradigma attendibile di quella gioventù coreana che, pur di trovare il proprio "posto al sole" in un tempo di continui e laceranti cambiamenti strutturali, si è concessa servilmente alla violenta deriva della società imposta dall'alto. Tra il dopo e il prima (in questo caso) c'è un tempo storico dederminato dalla violenza di regime esercitata su un paese intero dai gestori del potere. Chang-dong Lee mostra di conoscere alla perfezione la "necessità" di questa circostanza e, senza alcuna retorica militante o orpelli superflui, filma con raffinata lucidità analitica e misurato afflato civico la straziante parabola di una solitudine sullo sfondo di vent'anni di storia della Corea del Sud. Grande film.

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