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Green Fish

Regia di Chang-dong Lee vedi scheda film

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La recensione su Green Fish

di Peppe Comune
8 stelle

Makdong (Han Suk-kyu) è un ragazzo che è stato appena congedato dal servizio di leva. Durante il viaggio in treno per fare ritorno a casa, viene pestato a sangue da un gruppo di teppisti dopo che era intervenuto per difendere dalle loro molestie una donna sola (Shim Hye-jin). Ritornato a casa alla periferia di Seul, il ragazzo si ritrova in un cntesto urbano cresciuto a dismisura e in una maniera tutt'altro che armoniosa. Ma soprattutto, Makdong deve fare i conti con i seri problemi economici ed è deciso a fare di tutto per risollevare la famiglia dagli stenti. Intanto che cerca un lavoro solido, rincontra la bella donna del treno. Apprende che si chiama Mi-ae, che fa la cantante in un night club ed è la donna di Bae Tae-kon (Moon Sung-keun), un potente capomafia della zona. Grazie all’aiuto della donna, riesce a farsi assumere al servizio dell'organizzazione mafiosa e mentre i sentimenti tra Makdong e Mi-ae non possono dispiegarsi come entrambi vorrebbero, una serie di fatti fortuiti portano il ragazzo, prima ad affiliarsi al clan, e poi a diventare il protetto del capo. 

 

Green Fish | Pointblank

"Green Fish" - Scena

 

Durante tutti gli anni Novanta la prodigiosa cinematografia della Corea del Sud conobbe un livello di diffusione non più circoscritta ai soli abituali frequentatori dei Festival ma molto più vasta e trasversale. Il classico (e sempre utile) passaparola, unitamente alla crescita di canali distributivi non più esclusivamente di nicchia, contribuirono a rendere contagiosa la conoscenza di film che offrivano all’immaginario una nuova prospettiva da cui guardare il mondo. Tra i registi coreani che fecero scoprire ai cinefili di ogni dove autentiche gemme nascoste, c’era anche Chang-dong Lee, che nel 1997 realizzò “Green Fish”, un film che dell'esordiente ha solo il dato inconfutabile che effettivamente si trattò della prima opera del futuro autore di Burning, perché in esso già si scorgevano in una maniera già ben delineata e matura i tratti tipici della sua poetica. Sin dal suo esordio, infatti, il cinema di Chang-dong Lee si è sempre caratterizzato per la messa in evidenza di passioni forti vissute dai suoi personaggi in una maniera pressoché totalizzante, passioni che possono declinarsi, o nella forma di coordinate emotive a cui aggrapparsi alla bisogna, oppure in potenziali detonatori di violenza sempre pronti ad esplodere. Da Peppermint Candy” a Burning”, passando per “Oasis”, “Secret Sunshine” e Poetry, la costante sempre percepibile è stata quella di far oscillare la caratterizzazione dei personaggi tra i vuoti emotivi che ne qualificherebbero in concreto l'esistenza e i modi non sempre leciti e /o canonici per venirne a capo. E sempre dando all’arte fare cinema la possibilità di farsi narrazione comprensibile attraverso il non visto. 

Così sarà già in “Green Fish”, un gangster movie che per quanto segue il canovaccio collaudato secondo il lineare percorso reclutamento-affiliazione-ribellione-punizione, non si piega alle esclusive esigenze del genere ma anzi tende ad allargare il campo di visione, non solo per offrire un'analisi sociale del paese, ma anche per darsi una sottotraccia melodrammatica per delineare “l’impossibile” rapporto sentimentale tra Makdong e Mi-ae  

Rispetto al primo punto, come spesso succede con tanti film coreani, a fare da sfondo c'è sempre il sistema paese inquadrato nella sua multiforme complessità. I grigi casermoni nati dalla speculazione edilizia che hanno imbruttito gli spazi urbani, la corruzione regolarizzata tra gli organi di polizia, l’impunità dei clan mafiosi, le difficoltà economiche che riguardano molti strati sociali. Tutte cose che stanno lì e che non vengono mai esplicitamente portate alla ribalta, ma che intanto, per il fatto stesso di popolare la messinscena, e come se volessero denunciare il fatto che lontano dall'efficientismo messo in bella mostra nel centro di Seul, ci sono zone periferiche dove le cose non vanno affatto bene. Rispetto al secondo, invece, occorre sottolineare che i destini dell'uomo e della donna sono legati al doppio filo e la regia è abile ad usare il fuori campo come strumento cinematografico capace di chiarire i deficit emotivi dell'una e il desiderio di emergere dell'altro. 

La donna sembra essere prigioniera della sua stessa bellezza, coltiva un progetto di fuga da chissà quanto tempo, ma ogni pur flebile tentativo la riporta sempre al punto di partenza. Evidentemente perché quello che potrebbe diventare la sua vita non vale ancora il rischio di abbandonare gli agi di una vita che comunque non gli appartiene del tutto. Makdong è invece il paradigma di una società che offre a buon mercato la possibilità di darsi alla violenza e alla sopraffazione. Il ragazzo dice spesso ai suoi familiari che all’economia della casa ci penserà lui, che riuscirà ad affrancare tutti loro da una vita di stenti. E lo dice quando è appena tornato dal congedo militare e all'orizzonte non c'è nulla che lasci presagire un cambio di rotta. Ecco, quello di far leva su questo ottimismo anche un po’ sbruffone del ragazzo, è il modo usato da Chang-dong Lee per evidenziare il fatto che il ritrovarsi dentro le vicende del malaffare rientra nel novero delle cose possibili quando il confine tra il vivere nelle sue prossimità e l'urgenza di fare soldi è davvero molto sottile. Makdong è tutt’altro che un ragazzo cattivo, ma la concreta possibilità di fare tanti soldi in poco tempo rende praticamente impossibile sottrarsi alle sue lusinghe. Il caso poi ci mette lo zampino. Perché è il caso a farlo incontrare con la bella donna del treno, è ancora il caso a far volare sul suo volto il foulard profumato di Mi-ae, segno di un incontro che non si spezza. È sempre il caso a farli rincontrare nel night club di proprietà dell'uomo della donna, un potente capoclan. Ed infine è il caso a far sì che il ragazzo si metta nella condizione di avere un ruolo subito importante all’interno dell’organizzazione criminale. Le cose avvengono seguendo la più classica relazione di causa-effetto : ci sono i clan contrapposti che si danno battaglia, poliziotti compiacenti, doppiogiochismi vari e il degrado urbano a fare da sfondo. Così come la velocità con cui tutto si compie è quella tipica degli ambienti criminali, dove una fragorosa discesa agli inferi segue come corollario inevitabile l'estasi di un'ascesa repentina. 

Ma come già accennato in precedenza, non è tutto violenza quello che si vede, la bramosia per i soldi non domina su tutto, la tossicità dei sentimenti non è totalizzante. C'è spazio per la calma ieratica, per i desideri che vorrebbero realizzarsi, per le relazioni filiali che si vorrebbero indistruttibili. Come dimostra il bellissimo finale, che sfiora con garbo le corde dell'animo donando una veste originale ai caratteri del genere.  

Ottimo film di un autore che sin dal suo esordio dimostrò di avere le idee molto chiare. 

 

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