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Il montone infuriato

Regia di Michel Deville vedi scheda film

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La recensione su Il montone infuriato

di OGM
8 stelle

La rivoluzione sessuale in chiave borghese. Una rivendicazione, da parte degli appartenenti alle classi medio-basse, del diritto all’edonismo arrivista, all’immoralità che procura piacere e soprattutto guadagno. Nella persona di Nicolas Mallet, un semplice bancario, l’arrampicata sociale assume i contorni dell’esperimento scientifico, in cui egli funge da cavia per conto del suo amico Claude, uno scrittore in cerca di successo, e di un deputato che fa da finanziatore al progetto. Sedurre donne danarose ed influenti è, inizialmente, solo una provocatoria sfida, mirante a soddisfare una curiosità prettamente maschile ed una sete di rivalsa nei confronti dei potenti. Provare ad essere diverso, contravvenire alle solite regole che limitano la libertà dell’istinto e ostacolano l’innata propensione alla follia è un’impresa che, per Nicolas, comincia per caso, con l’incontro di un’avvenente e malinconica fanciulla, immobile sul cavalcavia della linea ferroviaria,  e tutta intenta ad assistere al passaggio dei treni.   Solo successivamente il disegno diviene pura strategia politica, finalizzata al raggiungimento di precisi obiettivi economici. Il gusto della trasgressione progressivamente si trasforma, a comando, in un’autentica missione di guerra, in cui il nemico da battere è il dislivello che rende inaccessibile la ricchezza ed utopistica l’idea di poter decidere del proprio destino e di quello altrui. In questa analisi pratica, effettuata direttamente sul campo, il malcostume si rivela per quello che è: un meccanismo accuratamente studiato, che arreca sostanziosi vantaggi materiali,  benché non produca vera felicità, ed anzi allontani dall’essenza stessa della vita, fatta di emozioni ed impulsi. Come in una vera battaglia mercenaria, lo scopo strumentale finisce per sostituire il desiderio spontaneo, ed il mezzo risulta sempre più difficile e sgradevole da utilizzare. La strada che conduce alla conquista prevede di arrancare dentro il fango, con molta fatica e poco onore. Nicolas non si piace per quello che si ritrova a fare, né gode veramente dei risultati ottenuti, perché ogni tappa ne anticipa un’altra, e non c’è modo di fermarsi un momento per apprezzare ciò che si ha. Il diabolico marchingegno macina i sogni e li riduce in una montagna di polvere, dall’alto della quale si domina il mondo, ma che è infinitamente grigia e triste. Alla fine della corsa il desiderabile si è esaurito, e con esso è svanito anche il magico alone di mistero che circondava le cose irraggiungibili. L’onnipotenza uccide il mito, e il pragmatismo mette troppo bene a fuoco la realtà, cancellando anche l’ultimo benefico margine di illusione. Il cinismo si impara, ma dello stesso si muore: esercitandolo, non ci si rende colpevoli di fatti scandalosi, ma, semplicemente, si diventa assassini di se stessi e della verità.  Nicolas è come il montone uscito dal gregge, per effetto di una furia che gli rende intollerabile il pascolo collettivo ed il belato corale: un essere che viola la propria natura di animale mansueto e stanziale, per la smania di vedere ciò che v’è la fuori. Lo aspetta un viaggio esplorativo che lo porterà ad aggirarsi, come un alieno, in un territorio sconosciuto e pericoloso, andando a caccia di prede che, in fondo, non ha nessuna voglia di catturare. La rivolta  che spinge a varcare i confini, in nome di un ideale di superamento dei limiti, è una ribellione dalle gambe corte: è infatti grande il disorientamento che ci coglie quando, per partito preso, passiamo da quella che per noi è sempre stata la parte del torto.  Il montone infuriato confeziona l’universo della corruzione (di quella ben nota ai nostri giorni) in una sorta di teatro in miniatura: è la casa delle bambole in cui Nicolas si aggira suo malgrado, e le cui stanze corrispondono alle varie caselle del gioco: una serie di scomparti a tema, il cui contenuto varia dalla frode finanziaria alla manipolazione della stampa.  Un luogo pieno di arredi sontuosi e di belle donne che, però, non ha nulla del paradiso, come dimostrano, tra l’altro, le numerose incursioni da parte della Morte. Qualcuno – forse tratto in errore dal titolo e dalla presenza di una seducente Jane Birkin -  ha scambiato per film erotico quello che è solo un tragico apologo morale: la metafora zoologica, in questo caso, fa pensare piuttosto ad una fiaba di Esopo o La Fontaine, in cui l’animale perdente è spesso quello che, contro ogni logica, si lascia trascinare in inutili sfide.

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