Regia di Paul Morrissey vedi scheda film
Non so con quali intenti sia stato a suo tempo realizzato questo film. Certo è che si tratta di uno sguardo impietoso sulla New York agli albori degli anni Settanta. Perché se i due protagonisti – un tossicodipendente bruciato da tutti i punti di vista e un transessuale – rappresentano due esemplari di sottoproletariato urbano (tentano di ottenere il sussidio per l’infanzia dai servizi sociali fingendo una gravidanza con un cuscino sotto il vestito) ai margini estremi della società, le altre persone “normali” che si vedono nel film (una coppia di debosciati, la sorella della trans, l’assistente sociale feticista) non è che ci facciano una figura molto migliore. Cinema di confine, probabilmente teso a mostrare le contraddizioni della società capitalista. Più che un prodotto cinematografico, Trash costituisce oggi un documento su un certo sottobosco e su un modo di fare cultura (quello della Factory di Andy Warhol), avente ad oggetto un’umanità che non si vedeva nel cinema “maggiore”, ripreso con sistemi stilisticamente poveri (inquadrature fisse, recitazione straniante e catatonica), che accentuava lo squallore dell’ambientazione.
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