Regia di Akira Kurosawa vedi scheda film
Perfino il pietosissimo Morandini definisce "Madadayo" "un po' monocorde, verboso, senile". Molti altri critici, affezionati al vecchio maestro Kurosawa, e rispettosi verso il suo ultimo film, hanno osannato quest'opera inconcludente e inconsistente, francamente noiosa, basata sulla vita dello scrittore giapponese Hyakken Uchida, venerato dai suoi allievi del liceo come un sensei, un vero maestro di vita.
Con uno stile cinematografico che ricorda più Ozu che non le precedenti opere dello stesso Kurosawa, ci vengono raccontate alcune tranches de vie di questo anziano professore dedicatosi alla scrittura, e, in particolare, le feste di compleanno che gli organizzano gli ex allievi, dal sessantesimo in poi. Durante queste feste, gli allievi domandano (che delicatezza!) al maestro se sia pronto (a morire) e lui risponde ogni volta "madadayo! non ancora!", finché al settantasettesimo compleanno, dopo una lauta bevuta di sakè e birra, e dopo l'ennesimo "madadayo!", il professore ci resta secco.
Madadayo è fotografato lussuosamente da Takao Saitô e Masaharu Ueda (che passano con grandissima abilità dai colori caldi e pastosi dell'autunno al bianco abbacinante dell'inverno innevato), però per giungere alla naturale conclusione, veramente liberatoria, si deve passare attraverso due ore e un quarto di un film interminabile che forse sta a significare che, al di là dell'anagrafe galoppante (per Kurosawa come per tutti), il grande maestro del cinema nipponico non aveva più granché da dire. "Madadayo" non inficia minimamente quanto di grandioso Kurosawa aveva fatto nella sua luminosissima carriera; è solo il sipario rammendato che cala alla fine dell'esibizione di un'artista quasi impareggiabile.
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