Regia di Walerian Borowczyk vedi scheda film
Interno di un convento, girato in Italia, appartiene al gruppetto di film meno riusciti di W. Borowczyk (grosso modo l'ultimo periodo ma con le dovute eccezioni degli ultimi fuochi), tali perché minore la vena eversiva, raffinata ed esplosiva con ironica sottigliezza e surreale malizia (vedi La bestia per fare l'esempio più evidente); d'altro canto però in questo gruppetto è il film più riuscito, se non pienamente dal punto di vista stilistico, almeno da quello concettuale e provocatorio.
L'aspetto infatti che non sempre convince è appunto lo stile che qui si fa maniera, ossia, pur riscontrando la cura del particolare dove non mancano immagini di forte impatto, non c'è nello svolgimento del film una incisività formale né decisamente cristallina né ancora follemente cupa e straziante (come Nel profondo del delirio - Dr. Jekyll et les femmes). Ciò che invece colpisce è l'argomento, ispirato a Le passeggiate romane di Stendhal: un pretesto, racchiudersi in un convento di clausura, per fare una sequela di esibizioni erotiche solitarie, o in compagnia di uomini entrati ovviamente di nascosto, o mistiche, le quali ultime ricordano il tema della brevissima ma affascinante opera lirica Sancta Susanna (1921) di Paul Hindemith. Scene di vita in bilico tra pulsioni della carne e oppressione dello spirito comunque giustificate dal fatto che la maggior parte delle monache ha subito la tradizione dell'epoca sulla clausura forzata per necessità familiari. Lo sviluppo, relativo e labile, quindi è impostato su una critica sociale, morale/immorale, anticlericale soprattutto, dove la madre badessa (G. Giacobbe) controlla morbosamente e dispoticamente ogni mossa delle sorelle, ogni angolo delle celle alla ricerca di oggetti proibiti, immagini, lettere, specchi, pezzi di legno lavorati a mo' di dildo, persino un violino usato sia come oggetto sessuale che come strumento per musica troppo festaiola per una chiesa, oltre naturalmente quella adibita al culto insieme all'organo, chiamato "sacro" ma di cui si ignora (volutamente o meno) l'origine del tutto pagana e più antica rispetto allo stesso cristianesimo. La parte peggiore però la fanno il padre confessore (Mario Maranzana) e il vescovo (Rodolfo Dal Prà), in situazioni imbarazzanti analogamente al finale de La bestia od a I racconti immorali: nel film in questione lo scandalo del sesso e della morte violenta deve necessariamente cadere nell'oblio e rimanere recluso tra le mura del convento, un teatro camuffato come tanti altri ricorrenti nella filmografia di Borowczyk (come del resto l'oggettistica sessuale) e che è tale non esteriormente, ma nei suoi meccanismi e movimenti di scena, luoghi chiusi oppressivi con pochi o pochissimi esterni, dal ventre cavernoso di Madame Kabal in Théatre de Monsieur et Madame Kabal (originalissimo lungometraggio animato del 1967), all'apocalittica deformità de I giochi degli angeli (corto animato del 1964), dal castello/isola di Goto, l'isola dell'amore (1968) alla villa de La bestia (1975), da Blanche, un amore proibito (1971) a I racconti immorali (1974), da Storia di un peccato (1975), a Nel profondo del delirio (1981) a Regina della notte (1988) ecc.
La fotografia di Luciano Tovoli non è eccezionale, ma dà un tocco nebbioso di misticismo ambiguo.
Acutamente Alberto Moravia scrisse su L'Espresso del 26 febbraio 1978 del parallelo tra monastero, madre badessa e censura, domandandosi: Che meraviglia se il censore ha sequestrato il film di Borowczyk, ravvisandovi, oltre ad un'offesa al solito "comune senso del pudore", un'allusione malevola alla sua professione?
E WB: Questi censori hanno paura del piacere.
Musica originale mediocre e piuttosto piatta di Sergio Montori, compensata dalla canzone popolare La rosa è il più bel fiore cantata da Ligia Branice, splendida moglie del regista che interpreta suor Clara Visconti, innamorata di Rodrigo Mandriani (H. Ross, alias Renato Rossini), nipote del prete.
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