Regia di John Boorman vedi scheda film
Ecco il film che si sarebbe dovuto trasmettere a reti unificate nel mondo intero in occasione della Conferenza di Parigi sul clima (dicembre 2015), quel COP21 sul quale ho letto, visto e sentito una pletora di analisi, documentari e dichiarazioni, ma neppure una parola sul polmone vegetale del nostro pianeta, la foresta amazzonica massacrata da decenni e che i potenti del globo non riescono o non vogliono salvaguardare. Al di là dei dibattiti sull’inquinamento, il buco nelle’ozono, le energie alternative, il petrolio e il nucleare, non si potrebbe cominciare con il decidere che la foresta amazzonica non si tocca più, punto e basta? Ecco, il bellissimo film di John Boorman ci parla di questo, prendendo spunto da una vicenda realmente accaduta e raccontando una storia a suo modo epica e terribilmente attuale. E’ l’inarrestabile contrasto tra la sopravvivenza di antiche culture da una parte e, dall’altra, l’aggressione della cultura moderna, quella tecnologicamente più evoluta che, di fatto, non conosce nemici. E’ un film intensamente pessimista quanto profetico. La regia è impeccabile. Oscilla tra spettacolari visioni di un contesto amazzonico da capogiro e accurati dettagli dei costumi indigeni. Flora e fauna fanno parte del cast. L’Indio folgorato dall’alta tensione mentre tenta di “scalare i pali della luce” e l’arrampicata del giovane protagonista sulla parete di un casermone moderno, senza capire con quali materiali e oggetti hanno a che fare sono due momenti particolarmente indovinati. Insieme a “Point Blank” (1967), “Un tranquillo weekend di paura” (1972) e al più recente “In my country” (2004), una delle migliori prove dell’anziano regista.
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