Regia di James Whale vedi scheda film
Dopo lo straordinario successo di Frankenstein (1931) e prima de L'uomo invisibile (1933) e La moglie di Frankenstein (1935), Whale diresse questo piccolo e magistrale horror gotico tratto da un romanzo di J.B. Priestley che allora ricevette qualche timida stroncatura e passò sotto silenzio fino a venire completamente dimenticato. E non ne avremmo avuta notizia alcuna se il meritorio regista Curtis Harrington (amico di Whale e autore di opere interessanti come I raptus segreti di Helen e Chi giace nella culla della zia Ruth?) non ne avesse scovati i negativi originali nel '68 e personalmente curato il restauro.
E possiamo così goderne oggi.
E comprenderne la statura.
I morbosi luoghi comuni del genere sono immediatamente superati dallo sbeffeggio grottesco, i personaggini di cera sono una memorabile parodia della perfetta e compita famiglia vittoriana, la violenza sopita (o nascosta, letteralmente) è suggerita da un'illuminazione minimale (candele, lanterne) che crea penombre ulteriormemte sottolineate dal biancoenero assai contrastato di Arthur Edeson. Tutti fattori determinanti alla riuscita dell'opera. Eppure, quello che personalmente mi ha convinto dell'eccezionalità del film ne è la soprendente, quasi trascinante consapevolezza immaginifica, mascherata dietro un congegno narrativo tanto efficace quanto elementare. Consapevolezza del vedere, storia dell'occhio che non vede ciò che ha di fronte ma solo ciò che gli è occultato, in qualche modo negato. Morte e rinascita della vista nel nero buio da cui viene la luce (e la scena più sorprendentemente ambigua del film, ma nemmeno troppo a rigor di logica, è quella in cui due personaggi, il giovane sposino e il pavido proprietario, debbono recuperare una lampada per generare ancora luce nel buio che improvvisamente, inesorabilmente, forse per intervento divino?, si è impadronito della "vecchia casa buia---ed è un caso che nel titolo originale, meraviglioso, sia contenuta la parola dark?).
Pellicola fisica, di nevrosi visiva apparentemente controllata, di tensioni erotiche subliminali e sottili (e nemmeno troppo velate allusioni omosessuali nel personaggio dell'autoritaria proprietaria), presta il fianco solo per alcune di quelle che oggi verrebbero chiamate, con una certa faciloneria, "incongruenze logiche del plot". Peccato veniale.
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