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Uomini alla ventura

Regia di John Ford vedi scheda film

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Neve Che Vola

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Uomini alla ventura

di Neve Che Vola
8 stelle

Visto per la prima volta, non mi ha fatto una impressione enorme. Ma l'esperienza mi ha insegnato che con John Ford non si scherza.
Molto spesso, i suoi lavori mi esaltano alla prima visione, ad esempio Tutta la città ne parla  oppure Il prigioniero dell'isola degli squali.
In altri casi, mi accade un fatto strano, si tratta del retrogusto che mi lasciano. E' come se la traccia emotiva lasciata su di me avesse bisogno di tempo per essere inquadrata, a distanza; e la distanza è il tempo.  Mi è accaduto  con La via del tabacco  e Alba di gloria, che ho recentemente visti.
Questo retrogusto quasi sempre mi mette in contatto con qualcosa che non saprei definire meglio se non come "integrità", nel senso di "armonia delle parti", questi films agiscono su di me come agenti sintetizzatori al di là della mia coscienza e sull'effetto che hanno avuto su di me "in diretta".

Ho trovato eccellente, al fine di capire meglio in cosa consistesse il retrogusto, il commento di Vieri Razzini negli speciali del dvd.

"...Ritroviamo come sempre le qualità essenziali di questo grandissimo regista: la semplicità, il calore, l'equilibrio. L'equilibrio drammatico, dove convivono comico e tragico è rispecchiato e tutt'uno con l'equilibrio del punto di vista ovvero con l'aurea naturalezza e direi, per paradosso, quasi l'invisibilità del punto di vista, in altre parole comunque la non invadenza della macchina da presa e della macchina cinema in toto. Tutto si svolge davvero come potremmo vederlo, davvero l'occhio di Ford è l'occhio dell'uomo"

Effettivamente, a posteriori, riconosco tutto questo. Soprattutto l'equilibrio, l'armonia delle parti, il senso della forma. Posso dunque ricostruire mentalmente queste componenti, che a tratti avevo notato anch'io, incapace però di rivelarne la composizione a me stesso con la stessa efficace forza di sintesi di questo, a mio avviso, straordinario critico. Forse è perfino ingiusto chiamare Razzini "critico", possiede la qualità fordiana della semplicità quando ci svela il suo pensiero, l'immediatezza, la capacità di focalizzare l'attenzione sui momenti nodali del film. Tutto il contrario di alcuni che parlano ore e ore di fila per non dire niente, o se non niente, almeno riassumibile in poche banali righe.

I soldati, ad un certo punto, si ritrovano in missione, avanzano tra l'erba alta in maniera poco realistica, stilizzata, teatrale. C'è un rifugio in cui dimorano dalla cui porta non si vede niente, se non un bagliore arancione simile a quello che Ford già usò nella famosa scena dei Cavalieri del Nord Ovest quando Wayne parla sopra la tomba della moglie.

Razzioni parla di "come quel rifugio sia perfettamente plausibile ma anche dichiaratamente di studio, spazio teatrale con ben poco di documentario. Se fosse più vero, tra virgolette, questo comprometterebbe l'equilibrio con la parte di commedia del film, il prodigio fordiano più grande, che è quello del trapasso fulmineo ma coerente dal tono leggero al tono drammatico".

A che pro spendere parole mie?

E c'è anche "l'asciuttezza di Ford, la sua capacità magistrale di evitare il patetico, anche quando sembra inevitabile. Pensate al momento in cui Flagg comunica alla ragazza francese che il suo giovane innamorato è caduto in battaglia. Ecco, è un momento dove c'è una brevità che è pari all'intensità, c'è una sorta di pudore veramente straordinario"

Proprio cosi', la ragazza chiede a Flagg della sorte di Robert Wagner, e il militare con poche semplici parole risolve la questione:

"La sola cosa che capiti a molti ragazzi che vengono qui, è morire lassù, e basta. Lui ha avuto di più: ha incontrato lei."

Niente altro, e la ragazza se ne va dopo averlo ringraziato.
Effettivamente una gran scena, anche se io non ho avuto la sensibilità di coglierlo in diretta.

Le parole di Razzini che più mi piacciono, però, sono le seguenti,

"non esistono films minori di Ford"

posso trovarne un parallelo e una conferma nella musica. Da un certo punto di vista è vero che la Quinta Sinfonia di Beethoven sia un'opera maggiore, mentre le Variazioni per violino e pianoforte un'opera secondaria giovanile composta per una ragazza che probabilmente attraeva il grande compositore. Allo stesso tempo, però, definirle secondarie non ha senso alcuno, è come se una sorgente si fosse messa a sgorgare, l'acqua è sempre quella, limpida e pura, tutto al più può andare a incanalarsi in un grande fiume, come in un semplice piccolo stagno, ma la sua qualità non cambia.

Mi piace ricordare le parole che il Maestro Valentin Berlinskij, fondatore del Quartetto Borodin, rispose alla domanda su quale fosse il Quartetto di Beethoven che preferisse (giova ricordare che i Quartetti vanno dalla gioventù avanzata agli ultimissimi anni, quindi si avverte particolarmente una evoluzione stilistica, ma queste sono questioni per chi ha voglia di occuparsene). 
 
Berlinskij riassunse in poche parole una vita di esperienze:
 
"Quello che ho sul leggio".


Sull'interpretazione di James Cagney
Perfetto.

Sull'interpretazione di Corinne Calvet
Perfetta.

Sull'interpretazione di Dan Dailey
Perfetto, anche se non mi è simpatico particolarmente.

Sulla colonna sonora
Eccellente.

Su James Cagney

Perfetto.

Su Corinne Calvet

Perfetta.

Su Dan Dailey

Perfetto, anche se non mi è simpatico particolarmente.

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