Regia di Paolo Taviani, Vittorio Taviani vedi scheda film
Il prato è probabilmente la tappa conclusiva di un percorso attraverso il quale i fratelli Taviani hanno dimostrato la volontà di non abbandonare mai la ricerca dell'utopia, nelle sue multiformi sembianze, cangianti nei differenti periodi storici, nonostante i ripetuti e forse inevitabili fallimenti nel raggiungerla. Il clima (in senso lato) politico del 1979, del resto, non invitava a riflessioni positive e beneauguranti e quindi se il giovane protagonista del Prato (come simbolo di un'intera generazione votata al suicidio politico ed esistenziale) non può che lasciarsi morire, dopo avere assistito al fallimento della comune agraria propugnata dal diplomato disoccupato Enzo (quasi una ripetizione degli scacchi, politici, subiti dai protagonisti di Allonsanfàn e San Michele aveva un gallo) e a quello del sogno di vivere un amore libero e completo in due o in tre (insuccesso esistenziale), il compito della ribellione, forse perfino della rivoluzione, non può che restare in capo alla generazione più vecchia, quella degli anziani, rappresentata dal padre di Giovanni, quel Sergio che aveva spinto il figlio ad allontanarsi dalla casa paterna (definendo "osceno" il fatto che un figlio di trent'anni vivesse ancora con i genitori), interpretato non casulamente dal Giulio Brogi che era stato il Giulio Manieri di San Michele aveva un gallo.
Il film dei Taviani, tuttavia, forse per un'esagerata programmaticità (si vedano i riferimenti a Germania anno zero di Rossellini), forse anche per una scarsa adeguatezza degli interpreti più giovani, non convince pienamente e resta impresso soprattutto per certi struggenti scorci di San Gimignano e delle morbide campagne toscane, fotografate magistralmente dall'operatore Franco Di Giacomo.
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