Regia di Paolo Taviani, Vittorio Taviani vedi scheda film
Giovanni ha vinto il concorso in magistratura come uditore, nell’attesa del posto si reca su consiglio del padre da Milano nella originaria San Gimignano in Toscana per vendere parte di una casa colonica. Giunto sul luogo adocchia una volpe nelle campagne circostanti, il giorno dopo con un gruppo di cacciatori locali uccide quella più grossa, dicono infatti che sono malate di rabbia e che ne contagiano i cani mordendoli. Recatosi in paese Giovanni si innamora a prima vista di Eugenia, una ragazza che porta in giro con alcuni amici il suo spettacolo di animazione sui trampoli. Un temporale costringe bambini e animatori a ripararsi in una casa abbandonata, qui Eugenia e Giovanni si conoscono meglio. A San Gimignano trascorrono molte ore insieme, lei lavora in un ufficio di Firenze e lui la raggiunge aspettandola all’uscita di un cineclub in cui hanno appena proiettato GERMANIA ANNO ZERO, film consigliatole da Giovanni. E’ amore, ma Eugenia è legata a Enzo un perito agrario meridionale che rientra nella provincia toscana per impiantare una comune agricola. Tra i tre nasce uno strano legame di amicizia e sofferenza, dove ognuno rimane ancorato alla propria visione della vita. La polizia interrompe una rappresentazione di Eugenia, mentre Enzo e gli amici che occupano le terre vengono sottoposti a perquisizioni. Eugenia caduta dai trampoli ha battuto la testa, i due amici la vegliano e durante lo stato febbrile Giovanni riesce a incantarla per una notte con un racconto tra il reale e la favola (ispirata a “Il Pifferaio magico di Hamelin” in cui Eugenia è il pifferaio). Il sogno (reale e immaginario) di poter convivere in una comunità giusta e felice rimane tale, le loro strade si dividono. Tempo dopo Giovanni a Milano si confronta con il padre sul suo futuro, decide di partire per Trani per un posto in Pretura, nel frattempo ha riagganciato casualmente Eugenia, i due si rivedono a San Gimignano. Lei andrà in Algeria per approfondire gli studi in antropologia insieme a Enzo che perse le terre e fallito il sogno della comune si è chiuso in se stesso. Eugenia lascia a Giovanni il suo cane debilitato dal morso rabbico di una volpe. Al passaggio del treno in partenza il cane morde a una mano Giovanni…
Paolo e Vittorio Taviani con IL PRATO hanno preso ispirazione da “I dolori del giovane Werther” di Goethe, dalle cronache di fine anni settanta sui tanti suicidi giovanili e in piccola parte dal “Padri e figli” di Turgenev. La voce fuori campo di Giovanni che scrive all’amico Leonardo ci introduce nella vicenda e fa da filo conduttore a una storia paradigmatica sui malesseri e le delusioni della generazione post-sessantottina. Giovanni pare essersi “liberato dalle illusioni collettive” e le sostituisce vivendo intensamente un amore, che assume i connotati di una patologia. L’amore impossibile per Eugenia, figura esile e determinata di donna amata contemporaneamente da due uomini. “Via amo tutti voi che siete su quel treno dov’è lei”, dice Giovanni all’inizio dell’innamoramento. Frase ripresa e modificata da Nanni Moretti ne LA MESSA E’ FINITA, e vedendo IL PRATO si intuisce che l’attore regista romano ha estremizzato e reso sue molte suggestioni del cinema dei Taviani (un amore mai finito, vedi la recente distribuzione di CESARE DEVE MORIRE). Enzo è l’ideologia sconfitta che smarrito il senso della propria esistenza si aggrappa a lei. A Giovanni sempre in precario equilibrio tra sogni, tormenti, pragmatismo e disillusioni rimarrà la trasmissione di un morbo, metafora perfetta del male di vivere giovanile e di una generazione. Per il padre (non più padrone come nel precedente capodopera del ‘77) filosofo di Giovanni ci sarà l’affetto, il confronto leale e disperato, e la promessa di ribellarsi. Altro tema centrale è il suicidio inteso come gesto assoluto, “come affermazione di un’ingiustizia di una verità negata, una felicità negata”. “Ci si uccide non per negarsi ma per riaffermare qualcosa che gli altri ci negano” puntualizzano i fratelli. IL PRATO è un’opera eccessiva (come suggerito dai Taviani stessi, grandi e mai tediosi affabulatori), imperfetta, velleitaria nei dialoghi e non nelle immagini, quei sentieri e quei paesaggi preannunciano il capolavoro successivo de LA NOTTE DI SAN LORENZO. Nonostante la sovrastruttura letteraria appesantisca l’esito, soprattutto nei personaggi e nelle loro interpretazioni - talvolta impostata e poco naturale quella di Saverio Marconi, acerba e spontanea Isabella Rossellini, trattenuta Michele Placido, coerente quella di Giulio Brogi - il film lascia dei segni, dei morsi nella coscienza.
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