Regia di Fritz Lang vedi scheda film
Pietra miliare.
«I fiori tutto intorno erano rossi di sangue.
Lotta ancora l’eroe con la morte, poi langue.
Troppo dentro lo spiedo crudele l’aveva colpito.
Non poteva più parlare: tutto era finito.»
L'episodio della morte di Sigfrido nell'epopea dei Nibelunghi, fin da quando ne ho scolastica memoria, ha sempre destato in me una violenta impressione. Il simbolo stesso della purezza cancellato da coloro che, rosi da invidia e gelosia, non lo hanno saputo e potuto comprendere. Cinematograficamente, episodi simili si osservano in "Roma città aperta", "Il miglio verde", "Braveheart", "The Elephant Man": la morte dell'eroe genuino e privo di peccato è evidentemente uno degli espedienti narrativi che più fanno presa sul pubblico e abbattono la barriera della quarta parete. Tuttavia, è nel mito che i personaggi perdono la loro carnalità terrena e acquistano dunque l'aeriforme ed immutabile natura di simboli. Il cinema di Fritz Lang, così sensibile al racconto dell'eterna opposizione fra bene e male, amore e odio, vita e morte, così percorso dall'inesorabilità del destino, così attento alla duplicità dell'animo dell'essere umano, è certo il filtro migliore per rappresentare su pellicola un mito tanto tragico ed intenso.
Così ritroviamo Crimilde, insieme virginale fanciulla e vendicatrice spietata; Hagen, traditore reprobo e fedele servitore; Brunilde, traboccante di vanità e di orgoglio, ma infine uccisa dai sensi di colpa; il re Gunther, uomo giusto, ma anche un pavido privo di spina dorsale, succubo di Brunilde e di Hagen. Sigfrido, dal cuore più candido della neve appena caduta, non poteva che finire stritolato in un sì tanto torbido contesto. Fritz Lang eleva tutte queste virtù e pulsioni umane e rende giustizia al mito e alla sua funzione primaria, ovvero quella di dare risposte sulla realtà sublimandola attraverso la finzione eroica: nel corso di quest’opera spesso siamo propensi ad identificare ciascun personaggio non tanto con il suo nome, ma con la categoria umana a cui pongono capo, la vendetta, la fedeltà, la rabbia, l’onore, il dovere, il dubbio...
Il percorso già incominciato in Destino, che era una fiaba nera intorno al tema della morte, qui Lang lo porta a compimento, incrementando i toni fiabeschi come anche i lati più oscuri ed impuri. Scenografie fastose e prodigi della tecnica sconosciuti a tutti gli altri autori dell'epoca (si pensi solo all'animazione del drago o all'incendio occorso al palazzo di re Attila) aiutano ed anzi costringono l'osservatore a proiettarsi a capofitto nel mito e danno ragione alla funzione spettacolare dell'invenzione cinematografica. In un’inquadratura all’inizio dell’ultimo canto, compare Crimilde, altera, lontana, in cima ad una torre, mentre osserva da una certa distanza la rovina di ambedue i popoli, quello nibelungo e quello unno. Poi, quando la vicenda entra nel suo agone decisivo, Crimilde ridiscende dalla torre e diventa la protagonista assoluta dell’atto conclusivo della tragedia, rivivendo nella memoria l’episodio della morte di Sigfrido e riannodando il presente con il passato. Lo stesso avvicinamento è quello che è portato a compiere lo spettatore, dapprima conturbato solo dalla forma, d’inestimabile preziosità, ma poi avviluppato anche dal dramma universale riversato sullo schermo. Restare indifferenti è impossibile.
In questo come in altri film muti di Lang, che da soli valgono più del novantasette per cento di intere filmografie altrui - e non se ne abbia a male nessuno - si ha davvero la sensazione che il regista sia decenni avanti rispetto ai suoi tempi. Se poi il mito ha la capacità di iscriversi nella memoria in quanto slegato da pastoie temporali, e quindi ancora oggi riusciamo ad emozionarci alla lettura dei versi della tragica fine di Sigfrido o dell'ancor più tragica vendetta di Crimilde, il film di Lang cristallizza quei fremiti e dà loro sembianza, corpo, anima.
Tutti coloro che nel futuro si cimenteranno in questo strano matrimonio fra il fantastico e il terribile (a partire dalla Biancaneve disneyana) non potranno che dirsi debitori di questa insuperata opera di Fritz Lang.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta