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Mystery Train

Regia di Jim Jarmusch vedi scheda film

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La recensione su Mystery Train

di laulilla
8 stelle

Jarmush mette in scena, con raffinato umorismo, ancora la commedia umana, in cui si alternano solitudine, amori veri o immaginari, chiacchiericcio ripetitivo e vacuo, avidità e altruismo in un film, nel quale sembra ben inserirsi il poema ariostesco che la candida e accorta Luisa porta con sé in attesa di tornare a Roma con l'amore della sua vita.

 

Siamo a Memphis, nel Tennessee, dove si svolgono i fatti che Jarmush racconta nelle tre diverse storie di questo film, che hanno il loro centro nell’hotel Arcade, albergo vecchiotto, nel vecchio centro della cittadina che vive ora per qualche turista sulle tracce di Elvis Presley e di altri famosi cantanti, che lì iniziarono a registrare i loro primi successi.

 

Far from Yokohama
Il primo episodio ci presenta una coppia di giovani innamorati giapponesi di Yokohama: Jun (Masatoshi Nagase), diciottenne taciturno, dall’aspetto eternamente triste, che vorrebbe ripercorrere i luoghi di Carl Perkins, e Mitzuko (Yûki Kudô), poco più che una bambina, logorroica, ammiratrice di Elvis Presley.
L’approdo all’hotel è quasi obbligatorio per i due che avevano percorso, spesso fra delusioni e frustrazioni, musei e strade della città e che ora vorrebbero riposare un po’. Hanno pochi soldi; non immaginano che i camerieri americani si aspettino una mancia un po’ meno simbolica di una… prugna giapponese. Tra baruffe e languori, radio che trasmette Blue Moon e senza televisione in stanza, si amano e se ne vanno: hanno udito un colpo di pistola: – È l’America! – dice lui, prima di chiudersi la porta alle spalle.

 

A Ghost
Il secondo episodio ha come protagonista la nostra Nicoletta Braschi nei panni di Luisa, una giovane vedova italiana che, in attesa che le venga concesso il permesso di un mesto rimpatrio con la bara del marito, è costretta a fermarsi all’hotel Arcade per una notte, anche lei.
Per la verità, non è molto interessata al cantante, e non avrebbe affatto intenzione di occuparsi di lui, ma la presenza di Elvis incombe su tutta Memphis e infine la coinvolge: un incontro poco gradito con un furbastro profittatore la porta a introdursi quasi di corsa in quell’albergo, mentre una ragazza, Dee-Dee (Elizabeth Bracco) – senza soldi suffiicienti per una stanza – ne sta uscendo. È l’occasione per un po’ di compagnia durante la triste notte dell’attesa… Non sarà davvero una notte tranquilla per lei, sola nel suo dolore che non può condividere con Dee-Dee, tutta presa esclusivamente da sé e con una gran voglia di raccontarsi. Si ripropone l’incomunicabilità del primo episodio, mentre il fantasma di Presley continuea ad aleggiare, evocato dalla musica di Blue Moon.
Lo sparo precede l’uscita dalla camera delle due donne, ma Luisa si fermerà sulla soglia per baciare in segreto gli anelli che le ricordano l’uomo che amava e che non c’è più.

 

Lost in space
La terza storia è quella di Jonny detto Elvis per la pettinatura (John Sytrummer), inglese a Memphis per amore di Dee-Dee. Ora è disperato per essere stato abbandonato e per aver perso anche il lavoro. Un po’ troppo wisky, ma anche l’inopportuno possesso di una pistola lo metteranno nei guai, dai quali cercheranno di salvarlo due amici – Charlie, il fratello di Dee Dee (Steve Buscemi) e Will, l’operaio afroamericano licenziato come lui (Rick Aviles) – facendolo soggiornare, per sottrarlo alla polizia, per una notte all’Hotel Arcade, il crocevia dei più diversi tipi umani, ognuno con i propri guai, protagonisti di una personale tragi–commedia. 

 

Jarmush ha creato ancora una volta l'ambiente per parlarci di un angolo d’America non bello, né turisticamente attraente, nella cui triste decadenza, apparentemente nulla di rilevante accade e nel quale le ore, che si succedono senza scosse, sono emblematicamente raccontate dall’iterazione dei gesti e delle azioni, dai “riti di celebrazione” della memoria di Elvis, dalla radio che trasmette “Blue moon”, o che informa sulle leggendarie vicende del cantante, dal ripetersi dello sparo all’alba, quando termina il soggiorno degli ospiti dell’hotel, nonché dal futile chiacchiericcio dei due receptionist che di quel mondo vuoto sembrano avere la coscienza necessaria a trarre qualche piccolo vantaggio.

 

 

 

 

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