Regia di Jim Jarmusch vedi scheda film
I film di Jarmusch non sono mai stati congeniali ai tempi del cinema americano canonico, non per altro egli stesso è sempre stato identificato come il regista statunitense con lo stile più europeo, per la sua intimità, per i suoi silenzi, per le sue sfumature. Jarmusch non è mai stato a suo agio fra vistosi movimenti di camera e storie mozzafiato, ma ha sempre prediletto il minimalismo, una coordinazione pressoché perfetta fra inquadrature per lo più statiche e montaggio, non perdendo però nessuna carica emotiva: il cinema di Jarmusch è più magico che mai, riuscendo a far percepire l'immenso mondo che ci circonda ambientando la storia in una piccola città americana. La terra vista come placido inferno dove l'apatia regna sovrana è sempre stata una visione ricorrente nei suoi film, dall'esordio sperimentale di Permanent Vacation ("i feel like on permanent vacation") all'apoteosi no-wave di Stranger than paradise, dove il mondo traspariva attraverso quelle stupende immagini in bianco e nero come una gelida gabbia senza via d'uscita. Prigione in terra che malgrado ciò è piena di piccoli dettagli che la rendono degna di essere vissuta ed osservata. Memphis come un comune punto d'incontro, così come potrebbe esserla stata qualsiasi altra città del mondo, un obiettivo per alcuni, un'anonima città nel quale si è incappati per caso per altri, ma la schiacciante consapevolezza di essere già stati in quel posto, perché in fondo dalla solitudine non si è mai riusciti a scappare nemmeno intrufolandosi nella città più rumorosa e pettegola, perché si dovrebbe a Memphis? Le carrellate che seguono i protagonisti, le luci dei lampioni che si specchiano sull'asfalto, il continuo proseguire della vità là fuori benché si sia rientrati stanchi in albergo, Jarmusch riesce a dar vita ad un'intera città anche solo mostrandocela sfocata sullo sfondo, riuscendo a farci percepire gli uccelli che svolazzano nel cielo, facendoci percepire tutte le storie che si narrano dietro le mura di quelle case malandate. Con un tocco di ironia ed umorismo nero mai invadenti, come un lieve antidoto contro la vuotezza delle proprie vite, Jarmusch non forza mai i dialoghi e non cerca il facile effetto; la sceneggiatura è praticamente perfetta, proprio perché non viene riempita di situazioni o (im)possibili incontri fra i personaggi, ma lascia tutto suggerito in una forma quasi eterea. Al contrario di come avrebbe fatto cinque anni dopo Tarantino nel suo capolavoro Pulp Fiction, film che sembra un rilancio all'eccesso in chiave pulp di questa bellissima opera di Jarmusch. Il "Mystery Train" non è altro quello sul quale sediamo fra un viaggio e l'altro, cercando un posto che sia diverso da quello di partenza, cercando un mistero che non vorremmo mai svelare ma che viene risolto ogni volta che mettiamo piede a terra.
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