Regia di Ferzan Özpetek vedi scheda film
Un’imprenditrice aziendale rampante progetta di ricavare un affare dalla vendita di un antico Palazzo di famiglia in cui, tra l’altro, morì segregata dal mondo sua madre. Tuttavia, la presenza in esso di tracce di un passato che la inquieta ed una serie di incontri che la pongono di fronte alla realtà dell’indigenza vissuta dai “poveri del nuovo millennio” provocano nella donna una profonda crisi spirituale e di identità che la porterà ad imboccare la strada di un altruismo febbrile e totalizzante. Il nuovo film del regista di “Le fate ignoranti” e “La finestra di fronte” si presenta come una riflessione accorata su temi ambiziosi e difficili quali il bisogno di spiritualità che è in ognuno di noi, la spinta alla condivisione dettata da un amore per il prossimo che ad alcuni può apparire follia, nonché la rete di segnali misteriosi che ci giungono quotidianamente da una realtà invisibile eppur segretamente operante. Come si è detto, l’ambizione del film è estrema, apprezzabile il suo coraggio e parzialmente riuscito il risultato, che, se da un lato non risulta del tutto originale negli sviluppi della vicenda (che ha molti punti di contatto con “Europa ‘51” di Rossellini), per altri versi fa macchia nel panorama del cinema italiano in virtù di uno stile che non teme di accostare elementi e strutture riprese dalla ghost story ad altri di critica sociale, la rappresentazione desolata di un mondo di piccoli ladri e accattoni neo-pasoliniani alla vertigine del soprannaturale e al richiamo (già molto forte nella “Finestra di fronte”) al recupero e alla custodia della memoria storica. Se nel film ci sono alcune stonature o sbandamenti, soprattutto in certi dialoghi e nella costruzione di atmosfere un po’ troppo solenni e ad effetto, il motivo va ricercato probabilmente in un eccesso di generosità del regista e in alcune estremizzazioni del discorso, come nel pre-finale in cui la protagonista si spoglia dei suoi abiti alla maniera di san Francesco per fare dono di tutto quello che possiede ad estranei incontrati per caso in una stazione della metropolitana di Roma. Si intuisce il valore ideologico che il regista vuole assegnare ad un gesto così provocatorio, ma è altresì evidente che questa sorta di pugno nello stomaco sferrato all’indifferenza borghese sa un po’ di “già visto” (fra l’altro in “Teorema” di Pasolini) e rischia di confondere le acque più del dovuto. Tuttavia, l’emozione che pervade alcune sequenze, e che trova la sua espressione più compiuta nell’intensa recitazione della protagonista, riscatta almeno in parte le ingenuità della trama e le forzature a cui si è accennato e garantisce all’opera una certa solidità di impatto, anche se tra i film di Ozpetek questo Cuore sacro non rientra fra i più riusciti.
VOTO 6/10
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