Regia di Niels Mueller vedi scheda film
Se in The Aviator di Scorsese tutto ruotava intorno a Di Caprio, The assassination è costruito sulla figura eccezionale di Sean Penn. Un’altra dimostrazione evidente di come quest’attore non ne sbaglia una.
Siamo nel 1974, liberamente tratto dalla storia vera di Sam Bicke, un commerciante di mobili che nel 1974 tentò di uccidere il 37mo presidente, The Assassination racconta l’esistenza tormentata di Sam, i fallimenti amorosi e sentimentali di un uomo insicuro ed idealista, che rifugge dalla realtà e medita un riscatto, comunicando la sua insoddisfazione, incidendo un nastro con una paranoica autoanalisi per inviarlo al famoso compositore Leonard Bernstein. Il continuo ripetersi di accadimenti depressivi maturerà in Sam il desiderio di farsi giustizia, uccidendo l’allora presidente Richard Nixon (che aveva promesso più volte il ritiro delle truppe dal Vietnam), con un attentato aereo che ricorda molto quello avvenuto in occasione dell’11 settembre. Il tentativo non andrà a termine ma non risparmierà alcune persone dalla morte, né il suicidio di Bicke.
The assassination, nel progettato iniziale, aveva come soggetto un individuo che aveva tentato di attentare alla vita di Lindon Johnson. La successiva scelta del regista Mueller, al suo esordio, l’ha spinto oltre confine, raccontando la vita familiare e professionale di Sam, perdutosi nel claustrofobico labirinto delle rinunce e delle disfatte, scegliendo, come su una tela, di abusare con l’uso di certe tonalità vicine ai grigi, per meglio raccontare i colori cupi e pessimisti dell’anima di questo singolare personaggio.
Siamo nell’ambito del cinema all’Arthur Miller, Tennessee Williams, che celebrava i perdenti, i depressi, insomma, quei cittadini dell’America cosiddetta “minore”, anche se non si può fare a meno di accostare il personaggio di questo film con il De Niro di Taxi Driver.
Sean Penn é monumentale, recita per sottrazione, senza sottrarsi alla confusione e al senso di smarrimento che caratterizza il suo personaggio. Gli unici mezzi con cui comunica sono il silenzio e lo sguardo, che si accompagnano alla voce fuori campo, per materializzare la rabbia repressa verso un mondo che lo respinge senza mai ascoltare le ragioni contraddittorie, la labilità dei suoi principi. Il senso generale è quello dello spaesamento, ma anche di aver vissuto in un apparente sogno ad occhi aperti, avendo come interlocutore immaginario, lo stesso che comunica con Sam, Leonard Bernstein. Anche i primi piani sul volto del protagonista, hanno la funzione di farci entrare sotto la cute del personaggio, facendoci intravedere il mondo con i suoi stessi occhi. E’ innegabile il rimandano al miglior cinema degli anni Settanta, quello che procedeva attraverso lo scavo psicologico dei personaggi: da quelli di Arthur Penn a Sidney Lumet, per giungere a quello più moderno di Cronenberg.
Il film funziona anche per la sua straordinaria capacità di comunicarci come stanno le cose oggi in America e nel mondo, abitato da tanti inutili “granelli di sabbia”, che come Sam, nel loro piccolo hanno la capacità d’”incazzarsi” e di farsi esplodere, alla maniera dei kamikaze e di tutti gli attentatori della vita dei grandi. Evidentemente spinti dal desiderio di poter vivere in un mondo in cui la differenza tra i ricchi e i poveri non sia così spietata e assassina.
Giancarlo Visitilli
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