Regia di Niels Mueller vedi scheda film
Grande film, partita chiusa. Game over.
Ebbene oggi, per i nostri Racconti di Cinema, vi parleremo di una perla, ahinoi, dai più dimenticata, ovvero il bellissimo e sottovalutato The Assassination (The Assassination of Richard Nixon).
The Assassination, opus egregia, presentata al 57° Festival di Cannes nella pregiata sezione collaterale, fuori Concorso quindi, Un Certain Regard.
Opera indipendente del 2004, diretta da Niels Mueller. Regista classe ‘61 che esordì, per un lungometraggio, con questo suo The Assassination, avvalendosi peraltro sorprendentemente delle presenze di due nomi hollywoodiani d’altissima rilevanza, Sean Penn & Naomi Watts, cioè due attori altisonanti e conosciuti giustamente a livello internazionale. Ma il fatto scioccante è il seguente enunciatovi. Malgrado l’ottimo successo di critica ricevuto per questa sua pellicola che, a tutt’oggi, su metacritic.com, può vantare una lusinghiera media recensoria del più che soddisfacente 63% di opinioni largamente favorevoli, Mueller è praticamente scomparso. Anzi, per meglio dire, da allora in poi, ha diretto soltanto un cortometraggio intitolato Wasser lassen e un film pressoché sconosciuto e mai arrivato in Italia, ovvero il quasi ignoto Small Town Wisconsin.
Incredibile e alquanto assurdo, inspiegabile, non credete? Ora, per dovere di cronaca e giustezza argomentativa, dobbiamo anche chiarire un aspetto importante. All’epoca, l’unico attore veramente famoso e già conclamato globalmente era solamente Sean Penn. Naomi Watts, infatti, adesso celeberrima, stava soltanto in quegli anni salendo di carriera e scalando, sebbene assai repentinamente e a passi giganteschi, la montagna attoriale del successo qualitativo e al contempo divistico, per agguantarne la vetta odierna oramai incontestabile e inscalfibile. Come tutti noi sappiamo, il film che la impose veramente all’attenzione del grande pubblico fu Mulholland Drive del 2002. Annus per lei mirabilis. Mulholland Drive, uno dei grandi capolavori amatissimi di David Lynch, A cui, nel giro per l’appunto d’una manciata d’anni imprendibili, potremmo dire persino per lei fenomenali, seguirono immediatamente due altri film imprescindibili che la consacrarono e per cui ascese vertiginosamente nell’empireo delle dive statunitensi più ricercate del nuovo millennio, cioè The Ring di Gore Verbinski (remake notevole e a stelle e strisce del cult movie di Hideo Nakata) e 21 grammi di Alejandro González Iñárritu sempre con Sean Penn più l’aggiunta di Benicio Del Toro.
Successivamente, Penn & la Watts avrebbero girato l’interessante Fair Game - Caccia alla spia di Doug Liman.
Ma ora torniamo a The Assassination. Da non confondere con l’omonimo (tranne per l’assente articolo determinativo) film con Charles Bronson del 1987. Film quest’ultimo che, negli anni novanta, veniva spesso proposto sulle reti Mediaset, pubblicizzato a non finire in un insensato modo che, col senno di poi, c’appare onestamente irrazionale e giustificabile solo a livello di logiche promozionali legate probabilmente ad accordi commerciali. In quanto, tale succitato film con Bronson è strepitosamente osceno, trash e francamente inguardabile.
A differenza, giustappunto, del film invece da noi qui preso in questione ed analisi.
Come detto, estremamente affascinante per non dire stupendo, altresì non poco inquietante. Malgrado a molti, ai tempi della sua uscita, suscitò non poco fastidio. Un film quindi scabroso e controverso.
Questa la trama di The Assassination. Da noi sintetizzata per brevità logistica e soprattutto per non sciuparvi, d’ingiusti e ingiustificati spoiler superflui e non necessari, le grandi sorprese riservateci durante la sua durata (di novantacinque minuti al cardiopalma e molto emotivamente compatti, coinvolgenti sin allo spasmo) se, eventualmente, questo film non avete ancora mai visto...
Siamo negli States, nell’anno 1974. Samuel J. Bicke (uno Sean Penn sbalorditivo) è un uomo d’affari molto indaffarato soprattutto coi suoi casini esistenziali. E allora si dà tragicamente all’esistenzialismo? No, ha da poco divorziato con la moglie Marie Andersen (Naomi Watts), ha recentemente perso il suo lavoro ma ne rimedia altri, uno dietro l’altro, peraltro. Ma non riesce a mantenerne uno che sia uno. Anzi, per correttezza, qui dobbiamo necessariamente porvi una rivelazione. Un lavoro, del quale inizialmente pare vantarsi, più che altro per nascondere le sue insicurezze, Bicke ce l’ha. Ovvero quello del venditore ambulante, assunto da un ricco imprenditore che crede in lui ma...
Sempre più travolto dal precipitare della sua situazione, giustappunto, stavolta, sì, esistenziale, non in senso filosofico, bensì prettamente riguardante la sua pericolante esistenza e vita allarmante in caduta libera e totalmente alla deriva, decide di optare, di extrema ratio funesta, per una decisione drastica, anzi omicida e metaforicamente suicida. Vale a dire ammazzare il presidente degli Stati Uniti allora in carica, ovvero Richard Nixon? Forse...
Poiché anche il suo ultimo sogno rimastogli, del tutto utopico, cioè mettere su un’attività col suo amico, il meccanico Bonny (Don Cheadle), va decisamente a farsi fottere. Tutto, nella vita di Bicke, sta andando in malora, cosicché progressivamente ed esponenzialmente cresce a dismisura, incontenibilmente e gravemente, il suo malumore in forma direttamente proporzionale al suo precario... stato mentale assai labile.
Scritto da Kevin Kennedy assieme allo stesso Mueller, The Assassination, prodotto da nientepopodimeno che Leonardo DiCaprio, Alexander Payne, Alfonso Cuarón e dal suo stesso direttore della fotografia, il tre volte premio Oscar Emmanuel Lubezki (Gravity), è un dramma molto intenso che si rifà apertamente a Taxi Driver (Bicke al posto di Bickle/De Niro), emulando, talvolta in modo artefatto, ciò va ammesso, le atmosfere di paranoia di quegli anni tesi pre-Watergate. Però riuscendo a perturbarci non poco per via della sentita prova d’uno Sean Penn ispirato come non mai e in virtù del suo impianto intellettualmente onesto.
Ché ci presenta una storia fatalmente scioccante in modo partecipe e al contempo freddamente distaccato. Così come il mondo americano qui descrittoci, indifferente e insensibile dinanzi al prossimo suo. Che sia un ex marito o un amico che forse non era neppure così irrinunciabile.
Tutto scorre, le paranoie del personaggio di Penn aumentano mentre il cinico e abietto mondo procede come se nulla fosse... stato. Perché, in fondo, questa è la morale del film, il sistema è marcio e malato ma sei fuori dai giochi se non accetti la mostruosa e tristissima regola di base per cui le regole della partita della vita devi accettarle sin dapprincipio, altrimenti prima o poi sarai spacciato e per sempre finito, oltre che dimenticato o eternamente condannato a un’orribile, sbagliata e distorsiva, brutta nomea appiccicatati e sparsa sulla bocca degli altri, a loro volta perfetti sconosciuti e anonimi, rassegnati passeggeri del viaggio ineluttabile...
Forse, sarai solo ricordato per essere stato tu stesso un mostro, cioè un uomo fin troppo normale, trasformatosi e poi crollato miseramente dinanzi alla crudeltà dei rapporti interpersonali e della verità d’un sistema che è indubbiamente sporco e corrotto ma quasi a tutti va bene così com’è e a cui, volenti o nolenti, soggiacciono, tacendo e addirittura lasciandoselo piacere passivamente.
In quanto, ripetiamo, ribellarsi singolarmente serve soltanto ad avviarsi verso la morte più angosciante e terribile. A nessuno, infatti, importa se fosti un uomo giusto, fosti solo uno che non c’è più.
Amen.
Nella piccolissima ma centrale parte del fratello di nome Julius di Bicke/Penn, Michael Wincott (Il corvo, Disastro a Hollywood).
Wikipedia sbaglia, sostiene che il nome del personaggio incarnato da Penn si chiami Byck e non Bicke.
Invero, trattasi di errore veniale. Difatti, il film s’ispira al realmente esistito Samuel Byck, qui “romanzato” e mutuato in Bicke.
di Stefano Falotico
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