Regia di Louis Nero vedi scheda film
Un ragazzo e una ragazza litigano, lui esce di casa e si ritrova catapultato fra i misteri e le suggestioni della Torino notturna.
Tanto per non generare incomprensioni, il titolo dice in maniera chiara e secca ciò che preme comunicare al regista: ha girato un pianosequenza. Lunghissimo, monumentale, articolato con spavalda leggiadria: due ore e una manciata di minuti del tutto privi di montaggio, con una scrittura (sceneggiatura di Louis Nero e Timothy Keller) fantasiosa ed efficace, che riesce a riempire le numerose quanto inevitabili lacune estetiche del lavoro in perfetta sinergia con una camera mossa a mano con sorprendente precisione. Qual è il significato di Pianosequenza? Il suo titolo. E' tutto lì: un'opera sconcertante per bravura tecnica e altrettanto capace di generare perplessità sulla sua carenza di appeal; saranno anche le riprese in digitale nel buio degli interni in cui si svolge la maggior parte dell'azione, che non convincono a simpatizzare per l'ambiziosa opera di Nero, ma di certo dal punto di vista formale qualcosa si è perso alla scelta della soluzione tecnica estrema che caratterizza il film. E che peraltro è l'unica cosa a caratterizzarlo: gli interpreti (nessun nome particolarmente rilevante) devono aver studiato a lungo le loro parti, l'operatore (è dato di capire: Nero stesso) deve aver sudato sette camicie per ottenere questo risultato, ma cosa rimane al di là dello sforzo tecnico? Un'operazione da Guinness dei primati, forse, ma non tale da catturare più di tanto l'attenzione del pubblico, non un film che si vorrebbe rivedere per il puro piacere di rivederlo. Con ciò non si sminuisce in nessun modo la coraggiosa e preparata vena di Louis Nero, qui al secondo lungometraggio, sempre capace di riservare sorprese - se proprio non piacevoli - quantomeno curiose. 3/10.
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