Regia di Vincenzo Verdecchi vedi scheda film
Vincente la scelta del regista Vincenzo Verdecchi – diversi anni di esperienze televisive alle spalle – di raccontare la “mitica” storia della squadra di calcio del “Grande Torino” (negli anni successivi al dopoguerra , una vera e propria leggenda!) senza mai mostrare scene di partite, riprese a bordo campo o cronache di incontri. Ed in tempi moderni in cui il calcio ci viene sbattuto in faccia da ogni mezzo di comunicazione possibile ed immaginabile – adesso anche sul cellulare è possibile seguire la squadra del cuore – la scelta era un’arma a doppio taglio sulla quale comunque valeva la pena scommettere. Così il racconto epico delle gesta di calciatori come Valentino Mazzola, Gabetto, Loik – insieme a tutta la squadra morirono nell’incidente aereo del 4 Maggio del 49 – rivivono sul grande schermo non attraverso le immagini in bianco e nero di qualche spezzone d’archivio ma attraverso il “gioco” della memoria che meglio permette di narrare di quei Miti che da sempre sono da monito ed esempio per il genere umano. Ma un impianto drammaturgico da fiction televisiva fa di “Ora e per sempre” la didascalica e piatta cronaca del viaggio a ritroso nel tempo di personaggi sfiorati dal Mito e dove l’alternarsi tra presente (Valentino Motta/Gioele Dix – brillante manager – si mette alla ricerca della tromba che suonava la carica durante le partite del Grande Torino) e passato (il giovane Michael Satten /Enrico Ciotti giunge nel capoluogo piemontese per organizzare una partita di calcio tra la nazionale inglese e quella granata) diventa l’esile traccia per raccontare di quando ancora uno sport come il calcio era realmente un enorme lavagna dove ognuno poteva riconoscervi scritta la storia sociale, politica ed esistenziale del nostro Paese. La regia fragile e pulita di Verdecchi, una ricostruzione d’epoca essenziale ma accurata ed interpreti spontanei e freschi (come il trombettiere Luciano Scarpa o la professoressa inglese Kasia Smutniak) salvano la pellicola dal finire rovinosamente nel dimenticatoio regalandoci sincere emozioni nei racconti del passato narrati da un generoso Giorgio Albertazzi (nel ruolo di Pietro, testimone involontario degli eventi storici) e nella purezza d’intenti di una storia che ci ricorda del reale spessore e valore storico di un gioco come il calcio – orgoglio e bandiera nazionale – ridotto oggi a sporco ed infangato terreno di mercificazione e di oscure trame di poteri commerciali.
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