Regia di Ernst Lubitsch vedi scheda film
Una ragazza conosce in treno due amici, un pittore e uno scrittore. I due vivono insieme e lei, invaghitasi di entrambi e da entrambi ricambiata, decide di tentare una convivenza a tre nella quale però ognuno resta al proprio posto. Non appena lo scrittore parte in viaggio di lavoro, il pittore e la ragazza se la spassano. Ma al suo ritorno il terzo incomodo diventa il pittore. Per porre fine all’irrisolvibile contesa, alla giovane non rimane che andarsene e sposare un altro uomo.
Tratto da una commedia di Noel Coward con una sceneggiatura di Ben Hecht, collaboratore fidato di Lubitsch, Partita a quattro è un film leggero dalle sfumature rosa e dal ritmo eccellente, con qualche battuta memorabile e con un lieto fine spiazzante, se non addirittura ambiguo. Sostanzialmente: un film alla Lubitsch. Ma con qualcosina di più e qualcosina di meno; tanto per cominciare sorprende la conclusione che apre palesemente alla poligamia, certo non semplice da rappresentare nei primi anni Trenta del Novecento, mentre fra i difetti del lavoro c’è una certa staticità nella fase mediana della trama, presumibilmente quella meno elaborata rispetto al testo teatrale di origine. Il poker di protagonisti vede avvicendarsi nei ruoli maschili Gary Cooper, Fredric March e Edward Everett Horton, mentre la giovane – e un po’ acerba – Miriam Hopkins è chiamata a rivestire i panni della bella Gilda attorno a cui tutti gli uomini gravitano senza sosta. Rispetto ai Jules e Jim che trent’anni dopo Truffaut porterà sullo schermo, questi Tom e George sembrano piuttosto infantili, inoffensivi e probabilmente questo è il motivo per cui la pellicola non è stata considerata scabrosa per i tempi. 6/10.
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