Regia di Ernst Lubitsch vedi scheda film
Dopo la grande guerra un francese va a trovare i genitori del soldato tedesco che ha ucciso in battaglia: vorrebbe chiedere perdono, ma per un equivoco viene creduto un amico del morto, che aveva trascorso due anni a Parigi, e lui non ha il coraggio di dire la verità. Il Lubitsch che proprio non ti aspetti, oltretutto nello stesso anno di Mancia competente: non rinuncia del tutto alle trovate umoristiche (es. la scena delle madri che, andate a visitare le tombe dei figli, finiscono per parlare di cucina), usa un classico espediente da commedia come lo scambio di persona, ma lo svolge con estrema serietà in un contesto melodrammatico. Ognuno dei personaggi ha subito un trauma, e il film racconta la molteplice elaborazione di un medesimo lutto: il padre impara a superare l’odio per i francesi, prendendo le distanze dal becero nazionalismo dei compaesani; la madre e la fidanzata accolgono con spontaneità lo straniero nel quale vedono un’immagine del loro ragazzo (che era un musicista come lui); il giovane riesce a dare un senso alla propria esistenza ferita riportando la vita in una casa segnata dalla morte. Un film commovente, il cui messaggio pacifista suona tragicamente inattuale in quel 1932, alla vigilia della presa di potere da parte del nazismo. L’unico difetto è una recitazione ancora da cinema muto, con troppa enfasi e troppe pause.
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