Regia di Vittorio De Seta vedi scheda film
Un uomo se la intende con una ragazzina; la moglie, emotivamente scossa, se ne va di casa. Ne approfitta per accompagnare il suo datore di lavoro, un architetto, che sta raggiungendo sua moglie in vacanza. Quando capisce che il suo posto non è neppure quello, la donna torna a casa dal marito.
Non sono molti i lungometraggi girati da Vittorio De Seta, cineasta dall’impronta documentarista e legato a una certa estetica sofisticata; questo L’invitata è il terzo in ordine di apparizione dopo il rinomato Banditi a Orgosolo (1961) e Un uomo a metà (1966). Lo studio dei caratteri, dei personaggi e delle psicologie ha in questa pellicola il ruolo che generalmente nel cinema compete all’azione; la sceneggiatura firmata da Tonino Guerra e Lucile Laks con la collaborazione ai dialoghi di Monique Lange, Franz-André Burguet e dello stesso regista è un intreccio di sparuti avvenimenti e situazioni spesso stagnanti, con pochi personaggi a contendersi ruoli piuttosto fragili e dialoghi spesso inconcludenti. In tutto questo si possono ravvisare tracce della scuola di Antonioni, seppure naturalmente L’invitata non risulti tanto incisivo quanto i coevi lavori del Maestro ferrarese; a ogni modo l’opera di De Seta rappresenta un ottimo tentativo di fare cinema d’autore – attività sempre sospetta, in Italia – senza disporre di eccellenti mezzi e al tempo stesso con poche idee, ma chiare. La protagonista è infatti l’emblema di una donna irrisolta, benestante, vittima della sua stessa indecisione, in eterna balia degli uomini; e gli uomini, pure incolpevolmente, ne escono sempre male. Fra gli interpreti: Joanna Shimkus, Michel Piccoli e Jacques Perrin; colonna sonora molto presente – tutt’altro che strano per De Seta – composta da Georges Garvarentz; fotografia sbiadita e malinconica di Luciano Tovoli; coproduzione italo-francese, durata di neppure cento minuti: sufficienti. 5,5/10.
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