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Poor Cow

Regia di Ken Loach vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Poor Cow

di yume
8 stelle

Era il 1967, Loach partiva in quarta per le sue inesauribili crociate a favore di donne e uomini poveri diavoli di cui la Gran Bretagna è uno spaccato interessante. Poor cow è il suo primo lungometraggio basato sull'omonimo romanzo di Nell Dunn.

Se non lo traducono in Italia nei modi pittoreschi con cui solo loro,un titolo è rivelatore, ma per Poor cow serve un’ulteriore piccola ricerca sulle espressioni idiomatiche di una lingua, e così si arriva a capire il perché  di quel “povera vacca”.

Noi diremmo “ povera diavola”, “vacca” è parola che gli amanti del genere usano con dovizia, e, a meno che non si tratti di parlare di mungitura, la lasciamo volentieri a loro.

La “povera diavola “ è Joy,

Era il 1967, Loach partiva in quarta per le sue inesauribili crociate a favore di donne e uomini poveri diavoli di cui la Gran Bretagna è uno spaccato interessante. Poor cow è il suo primo lungometraggio basato sull'omonimo romanzo di Nell Dunn.

Gli stilemi del suo cinema ci sono tutti, anche se nella filmografia successiva si arricchiranno e qualcosa della tenerezza che aleggia in Poor cow si perderà, inevitabilmente, poiché le cose da allora sono andate perfino peggio, e non solo nel Regno Unito.

Prima di tutto c’è la Loach-teoria sulla recitazione: “Elaborare la parte non intellettualmente ma in termini di esperienza… La cosa importante nel fare un film é quel momento in cui gli occhi rivelano ciò che accade dietro, il momento in cui l’attore lotta per essere articolato…”.

 Girato improvvisando, senza il concorso di una sceneggiatura, con indicazioni generali sulla trama date agli attori prima delle riprese, è  il suo tipico racconto a focalizzazione interna, solo minimi cenni sull’extra-testo, tutto l’orizzonte evenemenziale si restringe alla protagonista intorno a cui ruotano gli altri, uomini, donne e spazi urbani.

Nel focus intorno al personaggio femminile, una bionda sempre sorridente, un po’ svampita e un po’ no, madre affettuosa a diciotto anni, moglie maltrattata e amante coccolata, speranze tante e delusioni altrettante, Loach anticipa Maggie di Ladybird Ladybird, 1994, ma a quasi trent’anni di distanza le donne sono cambiate, la loro disperazione è diventata urlo e la caparbietà rivalsa.

Joy è molto diversa da Maggie, e quello che diceva Moravia di lei in parte può servire:

Si tratta di Joy, una ragazza del popolo, di umile estrazione, ineducata (parla cockney cioè il dialetto di Londra), ma dal fisico piacevole e attraente, che comincia con lo sposare un poco di buono, Tom, che la tratta male, la picchia, e da cui ha un figlio. Quando Tom viene arrestato per aver compiuto un colpo lei lo tradisce con un membro della sua stessa banda, Dave, Ella considera Dave l’amore della sua vita, ma anche Dave fa il ladro e come il marito viene arrestato. Per mantenere il figliolo Joy fa la barista e posa per foto audaci, e inoltre ha molti amanti occasionali. Alla fine torna con Tom aspettando che Dave esca dal carcere.

Joy è una donna d’istinto che si mette d’istinto fuori della società. Ma come fa a mettersi fuori dalla società e a rimanerci con tanta felicità? A causa della sua forte animalità. Joy è un tipico personaggio esistenzialista la cui adesione alla vita, così spensierata e allegra, cela l’angoscia della contraddizione tra essere ed esistere. Alla domanda “come si fa a risolvere il conflitto fra storia e natura?”il film risponde che è molto semplice, buttandosi dalla parte della natura.”

E’ un’interpretazione in chiave esistenzialista interessante, coerente con il filtro che Moravia usava nell’ interpretare la realtà, ma forse un po’ forzata se pensiamo che si sta parlando di Ken Loach il quale,  anche quando racconta favole ( Il mio amico Eric 2009, Jimmy’s Hall – Una storia d’amore e libertà 2014) ha l’occhio fisso sul sociale, e se la working class andrà di sicuro in Paradiso, la lotta sarà però molto dura..

 La forzatura più evidente sembra essere in quel “mettersi fuori dalla società e rimanerci con tanta felicità”.

Joy non è affatto “ tanto felice”. E’ una donna di anni e ambiente sociale in cui accettare la propria condizione, accontentarsi di minime cose, credere nell’inevitabilità di quello che accade e non pensare neanche un po’ a metterlo in discussione è una condizione più normale di quanto si creda, e non rendeva felici, solo meno arrabbiati.

Certo non ama Tom, un belloccio abbastanza indifferente alla nascita del figlio, manesco e autoritario, uno che pensa solo ai soldi e finirà in galera per questo.

Carol White

Poor Cow (1967): Carol White

 In Dave, un magico, quasi adolescenziale Terence Stamp (di lì a poco, 1968, il fantastico Toby Dammit  di Fellini), trova bellezza, amore, allegria, voglia di vivere.

Terence Stamp, Carol White

Poor Cow (1967): Terence Stamp, Carol White

 Nel suo bambino realizza la dolcezza di essere madre, le difficoltà economiche non la spaventano, il sorriso è la sua risorsa più importante e con un po’ d’incoscienza e un po’ di senso pratico riesce a far fronte a tutto. Anche ai compromessi, inevitabili se la vita non è mai generosa, se della swinging london che in quegli anni impazzava non arriva neanche l’eco lontana, tra le file monotone di caseggiati suburbani e in appartamenti dove ci si lavava solo nel lavandino.

Carol White

Poor Cow (1967): Carol White

 Pose in foto osè per vecchi fotografi bavosi, calendari per camionisti, birre alla spina per ubriaconi al banco, tutto pur di sostenere il suo bambinello pacioccone, Johnny, su cui Loach indugia spesso, anzi ce lo mostra fin dalla nascita in sala parto.

Dunque cosa dire della “felicità” di Joy? E’ fatica quotidiana condita di sprazzi di luce, fino all’ultimo, quando l’attesa di Dave che un giorno uscirà dal carcere la convince che “ tutto quello che occorre a una donna si riduce a un uomo, un bambino e un paio di stanze decenti in cui abitare”.

Non c’è che dire, di questi tempi un’affermazione del genere scatenerebbe le ire sui social, difficile credere che ci sia stato un tempo in cui era normale pensarlo, ma è proprio così e non mettiamoci una pietra sopra perché in molti casi è ancora così.

Ma Joy non è una vittima votata al femminicidio, Loach ne fa una donna vera in una società dura, spesso brutale, la sua è l’avventura di una povera diavola che, senza mai piangersi addosso, tira avanti alla meno peggio, non perde la sua sana gioia di vivere e, soprattutto, sa gestire quel compito quasi sovrumano che, pur collaborando in due, spesso tocca solo alla donna, mettere al mondo un figlio.

La musica, con le canzoni di Donovan e brani pop degli anni '60, l’ accompagna per tutto il film, e per lei, per Maggie e per tutte le povere diavole del mondo qualcuno un giorno inventò una bella filastrocca:

 

Ladybug, ladybug,

Fly away, do,

Fly to the mountain,

And feed upon the dew,

Feed upon the dew

And sleep on a rug,

And then run away

Like a good little bug.

 

Coccinella, Coccinella,
Vola via,
Vola sulla montagna,
E nutriti della rugiada
Nutriti della rugiada
E dormi su un tappeto
E poi scappa
Come un buon piccolo insetto.

 

 

 

www.paoladigiuseppe.it

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