Regia di Franco Rossi, Elio Petri, Luciano Salce, Mario Monicelli vedi scheda film
Quattro episodi. Una coppia al mare viene approcciata da un aitante giovanotto. Una coppia borghese va coscientemente incontro al reciproco tradimento, ma solo nella fantasia. Una donna crede che il marito la tradisca e racconta tutte le sue paranoie… all’amante. Giocando a carte, un uomo perde tutto: il furgone con cui lavora, la casa, la moglie.
C’è una brevissima sequenza, verso il finale di questo film, effettivamente surreale. O inquietante: è quando Bernard Blier esce vincitore da casa di Tognazzi canticchiando Bella figlia dell’amore… (dal Rigoletto). Oltre dieci anni più tardi Blier diventerà il bersaglio delle burle di Tognazzi & co. in Amici miei, diretto dallo stesso regista di questo episodio, cioè Mario Monicelli; i protagonisti che si prendono gioco di lui – con l’evidente riscossa di Tognazzi, in sostanza – hanno per ritornello lo stesso identico brano del Rigoletto. Forse Monicelli riciclava le idee (eppure la sceneggiatura di Alta infedeltà risulta attribuita alle coppie Age-Scarpelli e Maccari-Scola), o magari è solamente una bizzarra coincidenza, eppure le due pellicole finiscono per incrociarsi inevitabilmente in questo strano dettaglio. Alta infedeltà è una di quelle commedie a episodi che tanto conquistarono il pubblico italiano negli anni Sessanta; gli ingredienti per un successo sicuro ci sono tutti (argomenti pruriginosi, interpreti di assoluto richiamo, registi di prim’ordine), eppure la pellicola è stata un mezzo fiasco ed è andata incontro a una rapida rimozione dall’immaginario cinefilo nostrano. Oggi è finalmente recuperabile grazie ai prodigi del web e, per quanto sembri straordinaria anche solo l’idea di potersi gustare un film mai visto prima con protagonisti, fra gli altri, Tognazzi, Manfredi e Monica Vitti, a tutti gli effetti va rilevato che un motivo se il titolo è scomparso tanto in fretta c’è, senza dubbio, ed è la sua forte inconsistenza. Senza entrare in polemica con un maschilismo di fondo esasperato, d’altronde macchiettistico e iperbolico qui, dove si tenta la carta della barzelletta, dell’aneddoto sbracato e ridanciano, si può comunque valutare Alta infedeltà un lavoro non riuscito anche solamente per la sua mancanza di ritmo, sebbene composto da 4 episodi di mezzora circa ciascuno, e parimenti per gli argomenti piuttosto blandi: di corna vere o (soprattutto) credute il nostro cinema si era già occupato in molteplici occasioni, anche con risultati più convincenti. Se il segmento di Franco Rossi, sull’omosessualità, è un po’ troppo retrogrado anche per il 1964, già meglio pare quello di Elio Petri, a sorpresa inserito in un progetto di tale risma, ma capace di ironizzare da par suo sulle paranoie borghesi di una coppia borghese. Quando all’episodio diretto da Salce, non basta una bravissima Monica Vitti a dargli un tono: fiacco e leggerino; Monicelli invece se la cava bene con una sorta di novella pirandelliana ambientata nelle campagne lombardo-emiliane, dal non scontato finale apocalittico e pregno di critica sociale. Produzione Gianni ‘sketch’ Hecht Lucari, musiche originali di Armando Trovajoli, colonna sonora farcita di canzonette del momento, fra Morandi, Endrigo, Pavone e Paoli. 4/10.
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