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Maniac

Regia di William Lustig vedi scheda film

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La recensione su Maniac

di scapigliato
8 stelle

Prima di Hannibal Lecter e di “Henry Pioggia di Sangue” viene il Frank Zito di William Lustig. “Maniac” è credo il più efferato, visionario, disturbante e poetico film su un serial killer. Nato da chi poi l’avrebbe interpretato, Joe Spinell, il film è il capofila della massiccia intrusione del serial-killer nel cinema come rappresentazione del Male del secolo, e dà una netta sterzata a tutti quelli portati sullo schermo prima di lui. Dal Norman Bates di “Psyco” allo Scorpio di “Dirty Harry”, passando per “Lo Strangolatore di Boston” e “Peep Tom”, questi serial-killer non godono della stessa evocazione del perturbante di cui gode “Maniac”. Sono assassini serial nati dalla cronaca, e in alcuni casi offrono un valore aggiunto che è il coraggio di rappresentare. Ma con Frank Zito, lo sceneggiatore, il regista e l’interprete fanno qualcosa di più. Distorcono la realtà, la deformano come se si riflettesse nel fondo di una bottiglia. Il risultato non è la realtà dei governi e dei media, ma una sua rappresentazione più vera, più pregnante di sfumature e chiaroscuri, dove non predomina o il nero o il bianco, e le risposte sono abbandonate nelle domande. Il film, moderno esperpento valleinclaniano, anche se privo di ironia, non è solo il resoconto crudo e lirico delle gesta del maniaco Frank Zito, ma anche la distorsione della coscienza americana, la deformazione dell’uomo corretto, integro e severo. É il risultato di un affosso impressionista e anche espressionista nella coscienza collettiva di un Paese che crea i suoi mostri e poi li lascia al margine della vita per vederseli poi risalire la china come dei demoni assetati di sangue. Joe Spinell, il volto più inquietante, è anche l’emblema dell’uomo abbruttito, lasciato a sé stesso, che porta dentro di sé la bruttezza e la spazzatura della società. Il pregio della regia sta nel dare carattere ad ogni singola scena, per non dire ogni singola inquadratura. Se è impressionista l’oggetto rappresentato, è espressionista il modo di rappresentarlo. In un mix di tecniche visive rudimentali, ma efficaci più di altre invenzioni, William Lustig, apprezzato regista di horror taglienti, ha tracciato i segni e l’iconografia sozza e lercia di un Uomo, l’americano, che non ha ancora fatto i conti con sua Madre, l’America, e vive ancora nella paura/rifiuto/erotismo che ha con questa. Se troviamo evidenti traccie argentiane, come bambole e manichini per non dire la turba infantile-sessuale, troviamo anche l’impronta originale che farà poi da scuola agli assassini seriali del cinema made in America. Più rustico e meno intellettuale dell’Hannibal di Hopkins, il Frank “Maniac” Zito di Joe Spinell non affascina e non strega. Disturba, allontana, ma compenetra nello stesso disagio di inizio decennio, gli ’80, che vedranno poco alla volta esaltare la distruzione dei corpi, il loro sfarsi e corrompersi, in contrasto con il culto machista dell’era reaganiana. Dal più grande film su un serial-killer nasce un intero decennio, che non saprà, seppur nei suoi riusciti ritratti di pazzi psicopatici e omicida, a superarlo od offuscarlo. Questo grazie anche alla leggendaria depravazione che i censori di molti paesi vi hanno erroneamente trovato decretandone il divieto. Ma “Maniac” c’è, e disgusta ancora oggi.

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