Regia di Hayao Miyazaki vedi scheda film
Un tuffo nel tempo, un’immersione nel mondo ormai sommerso dei cartoni animati interamente realizzati a mano: questo è, prima di tutto, Il mio vicino Totoro (con l’accento sulla prima o). Un risultato certo non intenzionale, bensì frutto di una distribuzione all’estero difficile e particolarmente tortuosa per quel che riguarda il nostro Paese, dove la più celebre creatura di Hayao Miyazaki giunge a ben 21 anni dalla sua nascita. Allora fu una scommessa straordinaria, una sorta di lascia o raddoppia per l’ancora giovane Studio Ghibli: era infatti parte di un double feature, un doppio spettacolo, assieme allo struggente Una tomba per le lucciole di Isao Takahata. Il successo al botteghino non fu quello sperato e si annunciarono tempi durissimi, ma poi un testardo industriale del peluche ottenne l’autorizzazione per lanciare sul mercato un morbido Totoro. Due anni dopo l’uscita in sala, arrivò così un clamoroso trionfo e da allora Totoro è il logo dello Studio Ghibli, una sorta di spirito protettore come lo è nel film per la sua foresta. Il mio vicino Totoro racconta infatti di una creatura magica, che abita un albero sacro nel bel mezzo di un bosco, in un paese vicino a Tokyo negli anni 50. Qui si trasferiscono la giovane Satsuke e la piccola Mei, insieme al padre, mentre la madre è ricoverata in un ospedale non troppo distante. Le due dimostrano uno straordinario entusiasmo per il mondo della campagna e per il folclore popolare, una purezza che le porta a conoscere il grande Totoro, paffuto e peloso, altri “totori” più piccoli, i minuscoli “nerini” (simili agli spiriti della fuliggine della Città incantata) e l’imponente e veloce Gattobus. La convivenza di creature mitiche e vita rurale è di una magia semplice ma irresistibile, come la morbidezza del tratto di Miyazaki, dai colori caldi e accompagnato dalle memorabili melodie del fidato Joe Hisaishi. Un capitolo fondamentale della Storia del Cinema non solo d’animazione, incluso tra i 100 migliori film di tutti di tempi da Akira Kurosawa, e finora ignobilmente misconosciuto in Italia. Meglio tardi che mai.
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