Regia di Hayao Miyazaki vedi scheda film
La canzoncina che si ode sui titoli di testa è tutto un programma: “Totoro To-To!” (il resto non me lo ricordo, se non altro perché in idioma a me sconosciuto… ma il ritmo è strepitoso e rimane in testa per molto tempo!). L’immaginifico miyazakiano si rifà materia in questo lungometraggio animato di rara sensibilità. I deus ex machina di una storia così dolce e delicata sono semplici e al contempo articolati: c’è l’amore per la natura, non solo effettiva ma anche nascente dalla fantasia; c’è la paura del distacco dai punti di riferimento dell’infanzia (una mamma malata e un padre che lavora); c’è la scoperta di nuove creature verso le quali veicolano il desiderio di conoscenza degli spiriti puri (le bambine) e la voglia di liberare il proprio bisogno di esprimersi; c’è la liricità di un ambiente idilliaco e lontano dal comune. E c’è molto altro. Il mio vicino Totoro è una favola deliziosa in cui regna l’armonia tra forma e contenuti, personaggi e contesto antropologico. A metà tra sogno e realtà (come si conviene nell’itinerario del sommo Hayao), il metafisico universo miyazakiano trova una sua dimensione d’esistere nell’incontaminatezza delle scene, nella serenità placida dell’animazione, nella limpidezza di una storia candida e formativa. Difatti, è un racconto di formazione educativo e genuino. La gioia della bambina è nitida, luminosa, eterea. Più di una sequenza da ricordare, più di un’invenzione creativa folgorante: l’imponente albero che spunta dal giardino, la rincorsa del Totoro, la pioggia che cade sulle sorelline e sul gigantesco Totoro, l’autobus con le sembianze di un gattone accogliente. E, su tutti, il morbidoso e tenero piccolo grande eroe Totoro, tanto simpatico e grazioso da diventare l’icona dello Sutdio Ghibli.
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