Regia di Hayao Miyazaki vedi scheda film
Avete mai utilizzato una di quelle applicazioni che vi permette di riconoscere le specie arboree grazie alla fotocamera del vostro telefonino? Basta inquadrare foglie e fiori ed ecco a portata di mano tutte le informazioni sul lilium o sul maestoso Cinnamomum camphora. Ieri ho avuto l'impressione, forse la certezza, che la stessa applicazione utilizzata durante una delle mie passeggiate nel bosco avrebbe potuto enunciare i nomi di tutti i fiori e di tutte le piante disegnati con grandissimo zelo nel film di Hayao Miyazaki "Il mio vicino Totoro". Non sto scherzando, non del tutto per lo meno. La flora è riprodotta con una fedeltà tale da rendere riconoscibili molte delle piante che costeggiano le rive del ruscello, lambiscono gli orli dei terreni coltivati a riso e delimitano gli spazi del manto stradale. "Il mio vicino Totoro" è un erbario ed il paesaggio campestre immortalato dalla mano paziente di Miyazaki colpisce lo sguardo per l'accuratezza dei particolari. Ma non vi è solamente la riproduzione delle piante a rendere idilliaca la natura contadina alla periferia di Tokyo. L'acqua del ruscello è trasparente e le nubi in cielo si rispecchiano in essa mutando gli spazi, le luci e i colori dei campi acquitrinosi. Basterebbe soffermarsi sulla fotografia giocosa che risalta le ombre e le luci della natura per innamorarsi del film di Miyazaki. Ma per fortuna c'è dell'altro nella fiaba che il maestro indirizza ad un pubblico infantile senza, per altro, dimenticare gli adulti desiderosi di tuffarsi nella nostalgia dell'infanzia.
"Il mio vicino Totoro" è un film per bambini, ha due bambine per protagoniste, ma non è un film ingenuo e sdolcinato come la maggior parte dei prodotti cinematografici dedicanti all'età (pre)scolare. La fabula è semplice ed il mondo è visto con gli occhi delle piccole Mei e Satsuki. Il contenuto, però, è un esortazione affinché gli adulti si rapportino col mondo e con la natura con lo stesso stupore dei loro figli. Miyazaki ci dice che i piccoli, a differenza dei grandi, si confrontano con la Madre Terra con un misto di cautela e curiosità. Si lasciano trasportare dalla sua bellezza e ne comprendono l'importanza per l'umanità che, a contrario, non agisce in sintonia col creato, considerato, spesso, come un ostacolo alla ricchezza materiale. Il candore di Mei e Satsuki stridono con la pragmaticità degli uomini e delle donne che non sognano più, non si stupiscono di fronte alla bellezza, acciecati dalla gravosa quotidianità del lavoro e delle responsabilità. Il simbolismo legato agli spiriti della natura priva, perciò, quest'ultimi della possibilità di vedere ciò che è spirituale. Totoro, gli spiriti della foresta suoi amici, ed i buffi corrifuliggine vengono visti dalle sole bambine, Mei per prima perché più piccola ed innocente rispetto a Satsuki che sta, inevitabilmente, crescendo. È proprio Mei a ruzzolare nella tana di Totoro come Alice nel Paese delle Meraviglie. Lei però rimbalza nel pancione morbido e peloso del guardiano del grande albero che assomiglia ad un gatto o ad un procione a seconda dei punti di vista. Dicono i ben informati che Totoro sia ispirato, invece, ad una divinità giapponese che a sua volta ricorda il nittereute, altrimenti detto tanuki in Giappone, un cane-procione piuttosto insolito, di difficile classificazione per i poveri zoologi. Non ci sono dubbi a quale famiglia di animali appartenga il gattobus che accompagna Totoro per il bosco mentre sperimenta l'uso di un ombrello stile "Singing in the Rain incontra Mary Poppins". Dopo lo Stregatto del matematico Charles Lutwidge Dodgson un altro meraviglioso micetto si fa spazio nell'immaginario comune. Apre una porta sul fianco e richiude il pelo arancione prima di partire per un lungo viaggio nel bosco. Al secondo incontro con le bambine il nekobus vola dritto al sanatorio dove c'è la mamma ricoverata di tubercolosi. Mio figlio, al primo incontro con Miyazaki, mi chiede se la mamma morirà. La risposta non lo convince e allora chiede se morirà il papà che sta a casa. Qualcuno deve pur morire. Disney insegna. Dal finestrino del gattobus Miyazaki inquadra la coppia felice, nonostante i contrattempi, mentre chiacchiera di speranze e ritorni. Gli spiriti del bosco possono essere dispettosi verso chi li maltratta. La natura si difende se l'uomo la ostacola. È un motivo cardine del cinema ambientalista del regista giapponese. Mio figlio è inizialmente preoccupato che i fantasmi del bosco possano fare qualche dispetto alla povera Mei e alla "sorellona". Ma quale spirito della natura potrebbe mai rivoltarsi contro le innocenti attenzioni di due bambine che prestano il loro soccorso con un prezioso parapioggia? Stavolta mio figlio è rassicurato. Nessun dispetto. Le bambine si sono ben comportate ed il bosco le ha ripagate. La preghiera è salita con loro verso la cima dell'albero grande, diretta nel cielo azzurro e terso della campagna. Nessuno morirà. I genitori torneranno nella loro nuova casa, spoglia, sghemba e spettrale che le bimbe tengono in piedi con il loro ottimismo, piantando semi nel giardino destinati a crescere come i valori saldi dell'infanzia: generosità, coraggio, intraprendenza. Certo bisogna penare un po'. C'è un sandalo fuori posto a tradire le ansie della fanciullezza ma quale esistenza è priva di ostacoli, di inciampi, di cadute? La storia è dunque ricca di significati e ciò dipende dal sentimento nutrito dal maestro Miyazaki durante un'esperienza di vita molto simile a quella raccontata dagli spiriti, dai tumultuosi colori e dal vento agitato.
Il plusvalore di "Totoro" è la sensazione di assistere a qualcosa di nuovo e diverso, di magico e divertente. Le gocce di pioggia che cadono come macigni sull'ombrello di un Totoro birichino mi hanno ricondotto all'infanzia, alla vendemmia, quando scrollavo i tralci della vite bagnati per far cadere la rugiada addosso agli altri, provocando, inevitabilmente, le esclamazioni fintamente indignate dei grandi. Marachelle, gioco, divertimento. È una sequenza meravigliosa come le smorfiette di un Totoro appagato. Poco dopo se ne va. È arrivato l'autobus. Ha le zampe e non le ruote. Ma io me ne accorgo qualche istante dopo. Rimango a bocca aperta a guardare il gatto che ha scelto di cambiare forma in autobus. Avrà voglia di viaggiare, di raccontare le storie degli spiriti del bosco. Come Miyazaki. Anzi, forse Miyazaki è proprio quel gatto. Papà, l'hanno già fatto Totoro 2? Meraviglisi bambini. Gli dico di no. Lo studio Ghibli non è Dreamworks, Disney o Illumination (che lui conosce a menadito come conosce ormai le loro abitudini mainstream). Sembra capire ma ci rimane un po' male. Gli dico che abbiamo altri film dello studio Ghilbli da vedere. Ha già memorizzato il nome ed ora sorride felice come la piccola Mei tra mamma e papà.
DVD - Ed. Lucky Red Homevideo
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta