Regia di Fritz Lang vedi scheda film
L’ultimo film girato da Lang prima di lasciare la Germania è il sequel de Il dottor Mabuse (1922): il protagonista, un genio del male, si trova rinchiuso in manicomio, dove scrive compulsivamente appunti per nuovi piani; all’esterno, una banda di malviventi è guidata da un capo inflessibile che nessuno vede in viso e che comunica i suoi ordini stando dietro una tenda in una stanza chiusa; intanto un solerte commissario indaga. Uscito in quel fatale 1933, il film appare un’impressionante metafora sul tragico obnubilamento delle menti che ha favorito l’ascesa del nazismo: nella lotta senza quartiere tra la follia e la razionalità c’è il rischio concreto che la prima riesca a prevalere (è la sorte dello psichiatra che ha in cura Mabuse, e che ne subisce pericolosamente il fascino sinistro); tutto sommato l’ultimo argine sono le forze dell’ordine impersonate dal poliziotto, un borghese un po’ rude ma sano. Quando si sente la voce stentorea del capo che proclama i suoi progetti criminali, è impossibile non pensare al delirio di onnipotenza hitleriano e alle adunate oceaniche del futuro regime. Del resto funziona bene anche come film di genere, con sparatorie, inseguimenti e senso della suspense (es. l’uso del montaggio alternato nella scena della stanza allagata).
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