Regia di Andrzej Wajda vedi scheda film
Il dramma si concentra nel giro di poche ore, durante i festeggiamenti per la fine della guerra nella Polonia del 1945: un gruppo di partigiani nazionalisti deve uccidere un dirigente comunista appena rientrato da Mosca, ma colpisce l’obiettivo sbagliato ed è costretto a progettare un nuovo piano. Il film è abilissimo nell’evitare di prendere parte: più o meno tutti i personaggi sono prigionieri di un passato da cui non riescono a liberarsi (emblematico, pur se in un ruolo minore, il portiere d’albergo che sogna una Varsavia che non esiste più) e si trovano spaesati in un mondo che non sanno decifrare, così diverso da quello per cui hanno combattuto; l’attentatore intravede la possibilità di una vita diversa nei begli occhi dell’angelica barista che ha appena conosciuto, la vittima rimpiange i tempi della guerra di Spagna e ha un figlio che milita nella parte avversa. Come nel precedente I dannati di Varsavia Wajda aveva mostrato gli aspetti più squallidi della resistenza, così qui racconta le radici marce di una Polonia postbellica nella quale la lotta al nazismo non ha cementato l’unità ma ha prodotto nuove divisioni, lasciando spazio ai mediocri e agli opportunisti (come il minuscolo arrivista che rovina stupidamente la sua carriera ed è subito pronto a cambiare casacca).
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