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Falstaff

Regia di Orson Welles vedi scheda film

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La recensione su Falstaff

di Antisistema
10 stelle

Altri 4 anni passano per far si che Orson Welles dopo il Processo (1962) potesse girare un altro film e nuovamente si ripresentano problemi in fase di produzione nel girare Falstaff (1966), finanziato con capitali svizzeri e spagnoli, con delle riprese lunghe ben 8 mesi, con interruzioni prolungate nel mezzo per consentire al regista di poter reperire i fondi necessari alla prosecuzione, nonché i problemi di disponibilità degli attori che erano disponibili solo a in un tempo determinato, perché poi alle prese con altri impegni; in sostanza i problemi di Othello (1951), ma moltiplicati perché Falstaff ha molte sequenze girate anche in esterna.

Tratto da varie opere di Shakespeare; Enrico IV, Enrico V, Riccardo II e Le allegre comari di Windsor, in cui viene menzionato il personaggio di Jack Falstaff (Orson Welles), quest'ultimo è un uomo sempre più vicino all'anzianita', che nonostante l'età conduce una vita sgretolata, dedita all'alcool, bagordi e donne. Le sue tasche sono perennemente vuote, ma il suo girovita invece si mantiene bello grande, oserei dire aumentato ancora rispetto agli standard già titanici dell'ispettore Henry Quinlan, eppure il nostro ciccio ispira una simpatia unica alla vista, tanto da volerlo abbracciare e ascoltare le sue fanfaronate tutto il giorno come fanno i tanti membri che affollano la locanda del Cinghiale, nonché il principe Hal (Keith Baxter), futuro Enrico V, che trascorre intere giornate con l'uomo, compiendo anche rapine a poveri viandanti per trascorrere allegramente il tempo. Il padre di Hal, il re Enrico IV (John Giulgud) disapprova lo stile di vita del figlio ed è preoccupato dall'esercito mobilitatagli contro da Henry Percy (Roadway) e dai conti Worcester e Northumberland, tutti parenti del legittimo erede al trono Edmondo Mortimer, che vogliono detronizzare l'attuale re a favore del loro nipote e decidono così di scatenare una guerra civile.

 

Orson Welles

Falstaff (1966): Orson Welles

 

Terzo adattamento di un'opera di Shakespeare, Falstaff rispetto a Machbet (1948) ed Othello (1951), di sicuro è il più complesso e stratificato, non solo per la durata nettamente superiore ad entrambi (30 minuti in più), ma anche per la densità contenutistica frutto della rielaborazione da parte del regista di ben 4 opere del drammaturgo inglese e la perseveranza nell'usare il più possibile dialoghi provenienti solo dalla penna di Shakespeare, questo contribuisce indubbiamente a rendere molto ostica la pellicola per lo spettatore, difficoltà accentuata ancora di più per un pubblico non anglosassone totalmente a digiuno della lingua e dello stile del drammaturgo inglese. Le difficoltà produttive anche qui indubbiamente hanno costretto il regista ai salti mortali nel dover far combaciare campi e controcampi girati in differenti periodi di tempo, costringendolo ad un montaggio con stacchi e jump cut per unire certi raccordi del film.

Il tono della pellicola mescola il dramma della corona, la tragedia della guerra sino alla comicità buffonesca da taverna con sequenze divertenti come il tentato furto ai pellegrini e lo scherzo di Hal ai danni di Falstaff che scappa via miseramente, raccontando al ritorno di aver subito un'imboscata da centinaia di uomini; il nostro protagonista fanfarone grazie al dono della parola ammalia il pubblico della taverna e ha sempre la battuta pronta per uscirsene se messo all'angolo e molto autoironico sulle sue condizioni fisiche del suo comportamento arraffone, dispensando però notevoli massime di pensiero sulla vita, morte, esistenza, guerra ed il potere, a cui un giorno spera di giungere mediante il suo legame di amicizia con il principe Hal.

 

Orson Welles

Falstaff (1966): Orson Welles

 

L'alto ed il basso s'intrecciano continuamente, dal rigore austero del re Enrico IV illuminato da una luce "divina", che entra dalla finestra durante i suoi discorsi sulla gravità del peso derivante dalla corona e alle nefandezze fatte per ottenerla, si passa agli insulti farseschi e da burletta alla taverna dove Fastaff come un giullare dileggia il potere, restituendo il sorriso agli oppressi. Atteggiamento che il personaggio continua a mantenere anche in battaglia dove depreca lo stupido senso dell'onore in guerra a favore del suo stile di vita da osteria, disdicevole per i suoi (molti) detrattori e non salutare, ma sicuramente meno ipocrita rispetto ad alcuni gentiluomini, che detengono il potere e per sfuggire ai doveri bellici hanno pagato la quota di esonero a differenza dei poveracci mandati al macello per le mire dei nobili. La battaglia spezza a metà un film che altrimenti sarebbe risultato troppo monotono e statico nelle sue location limitate per lo più alla taverna e al castello, dando così un lungo segmento dinamico, che mette in mostra le notevoli doti tecniche di un regista, il quale con un budget di appena 3 barattoli di ceci e 4 di lenticchie, mette in scena uno scontro campale che sicuramente è nella Top 3 di sempre insieme all'Alexander Nevskji di Ejzstenstejn (1938) e Ran di Akira Kurosawa (1985). Welles rinuncia a costruire una battaglia coreografata nella tattica di scontro perché non aveva i soldi per farlo (si conta un solo campo lungo nella carica iniziale della cavalleria), così usa campi ristretti con angoli di ripresa dal basso a 3/4 per accenturare in modo illusorio la vastità degli eserciti (che contavano circa 14.000 uomini per parte), con un montaggio che mano a mano procede lo scontro, si fa sempre più frammentato e breve nelle inquadrature, creando un'esperienza espressiva della sensazione che si sente a partecipare ad uno scontro, tramite un montaggio che taglia, fende e colpisce come se fosse un'arma al pari di una spada, una freccia o una mazza ferrata. Un'umanità che ha perso la ragione si da alla follia di un macello collettivo, con corpi che si accatastano l'uno sull'altro nel terreno fangoso (altro che la sopravvalutata battaglia dei bastardi del Trono di merda, la pseudo "avanguardia" 50 anni dopo. Il cinema è sempre supriore alle serie tv, fatevene una ragione), con Welles che commette anche (apparentemente) degli errori formali, come lo smarrimento tra destra e sinistra degli eserciti e scavalcamenti di campo, generando una confusione spaziale nella mente dello spettatore, proprio come i soldati sul campo di battaglia, privi di coordinate certe. Al termine dello scontro Hal non sarà più lo stesso, prenderà la coppa di vino offertagli da Falstaff distrattamente, ma il giovane oramai guarda verso un orizzonte lontano, che ad un uomo come Jack gli è precluso del tutto, poiché i suoi occhi non vedono al di là della giornata e per questo sarà cieco innanzi alla metamoforsi di Hal, che diverrà Enrico V, colui che porterà l'Inghilterra all'apogeo della propria potenza, relegando gente come Falstaff al di fuori dei propri disegni e della storia, ma in effetti un uomo come Falstaff perfetta autobiografia del suo interprete, non poteva che essere un perdente relegato ai margini dal sistema di potere che regge il mondo. Un film difficilissimo da comprendere per lo spettatore non avvezzo al regista e sicuramente la sua opera più ostica anche perché tecnicamente molto rozzo qua e là, data anche la produzione praticamente indipendente, venne per questo motivo massacrato dalla critica americana per essere rivalutato solo nel corso degli anni, grazie all'opera di un regista-critico di nome Peter Bogdanovich.

 

Orson Welles, Keith Baxter

Falstaff (1966): Orson Welles, Keith Baxter

 

Film aggiunto alla playlist dei capolavori : //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297

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