Regia di Orson Welles vedi scheda film
Attraverso il personaggio - che non ha un dramma a lui intitolato, ma compare in diverse opere di Shakespeare - Welles compone il racconto, tutt'altro che comico, su un'amicizia che chissà quanto è stata tale e fa un discorso spietato sui "doveri" che impone il potere. La morte di Falstaff sembra decretare la fine di un'epoca, come un altro dei suoi film, L'orgoglio degli Amberson. Come quel film rappresentava, nel 1942, l'apoteosi di Hollywood ed insieme il suo superamento, qui Welles riesce ad essere scespiriano (la parte di Enrico IV affidata ad un attore teatrale come John Gielgud) e a superare Shakespeare (la reinterpretazione di un Falstaff più patetico che comico, seppur sempre fanfarone).
Ma Falstaff è un film importante anche dal punto di vista figurativo: Welles gira il film in Europa e prende spunto dalla pittura europea, non ultimi i pittori fiamminghi quali Bosch e Brueghel (si veda il personaggio di Silenzio, interpretato da Walter Chiari), ma anche la pittura rinascimentale italiana: per la battaglia di Shrewsbury viene in mente La battaglia di San Romano di Paolo Uccello, oltre al cinema giapponese, con qualche influenza, secondo me, anche del teatro dei pupi. Del resto, Welles qualche anno prima era stato in Italia a recitare per Pasolini nella Ricotta e potrebbe avere carpito, anche oltre le intenzioni, dal nostro grande regista qualche umore grottesco e qualche goccia del suo gusto pittorico.
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