Regia di Peter Watkins vedi scheda film
Fu la battaglia campale di Culloden (1746), combattuta a poche miglia da Inverness (Scozia), a spazzare via le definitive speranze giacobite di restaurazione sul trono d'Inghilterra. Le forze ribelli di Charles Edward Stuart (un manipolo di 5000 uomini circa) furono spazzate via in campo aperto dall'esercito guidato dal Duca di Cumberland, figlio del legittimo sovrano Giorgio II.
Peter Watkins (classe '35) diresse quest'eccezionale docudrama televisivo (produzione BBC) imperniato su un'idea geniale: tutti gli eventi vengono raccontati dalla prospettiva di un reporter invisibile che in voice over narra, commenta, analizza. Un primo reindirizzamento autoptico ulteriormente amplificato dalla scelta consapevole di mescolare "interviste" (riprese come se fossero state raccolte sul momento) ad una narrazione che le mette in rapporto ad eventi passati e futuri, antefatti e conseguenze. In questo modo ad una spazialità evidentemente connotata si contrappone - quasi più come completamento che per contrasto - una temporalità incerta e mutevole, quasi aleatoria. La stanzialità del visivo si rilancia dunque nella complessità sfuggente del verbale, dei suoi flashback e flash forward. L'evento diventa fatto.
Girato in uno splendido biancoenero, è un film che si può facilmente tripartire: la cruenta battaglia che occupa la sezione centrale è anticipata dalla rassegna delle forze in campo e seguita dagli eventi conseguenti la resa. Il punto di osservazione privilegiato della prima e della terza tranche è il primissimo piano: Watkins s'incolla ai volti dei combattenti (attori non professionisti straordinariamente scelti) per spogliare la vicenda di ogni afflato epico, disadornando l'immagine per sfuggire la retorica. Poche parole scarne fanno da compendio biografico: le mille storie che ognuno porta con sé sono inscritte negli occhi persi di un granatiere o nelle cicatrici di un cavaliere.
L'ordine precario che caratterizza le forze in campo è rotto dall'urlo della battaglia. Qui il linguaggio di Watkins si fa più polimorfo nell'alternanza di campi e piani, la nostra guida invisibile è più silenziosa. I cannoni rombano, i soldati cadono. C.E. Stuart, il Giovane Pretendente, si muove come un bambino disperato osservando la battaglia distante, protetto da un binocolo che, non si può evitare di dirlo, è la sua macchina da presa, il suo duplicato ottico. Le morti si susseguano tra urla e stridii. Poi d'improvviso tutto cessa, quasi senza clamore. La battaglia è terminata. I vincitori infieriscono sui vinti con sadica brutalità. Eppure, tutto sembra "normale". L'orrore è tale solo per chi guarda. Nuovamente il film rilancia la sua sovrimpressione di piani d'osservazione: le prospettive tanto ottiche quanto morali si moltiplicano a seconda dei punti di vista.
Finalmente la tempesta sfuma lentamente in quiete. L'equilibrio si ricompone, ma è una tragica illusione. Il finale ci dice che la pace è solo un deserto.
Pacifista convinto, Watkins non nasconde riferimenti agli orrori del '900, a chi ne ha perpetrati, chi accettati in silenzio, chi subiti incolpevole. Eppure, il suo non è un cinema dell'enfasi. Ricorre al bisturi: è clinico come un'autopsia. Ed è straordinario.
"Un resconto di una delle
più malamenete condotte e
brutali battaglie
mai combattute in Gran Bretagna.
Un resconto delle sue tragiche conseguenze
Un resoconto degli uomini
che ne furono responsabili.
Un resoconto
degli uomini, delle donne e dei bambini
che hanno sofferta per causa d'essa."
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