Regia di Peter Watkins vedi scheda film
La storia non si fa con i se e con i ma, ma Peter Watkins, che tanto voleva imporsi in tutta la sua libera creatività negli anni '60, se ne fregò e sfornò un ottimo esempio di falso documentario in cui con piglio documentaristico e pseudo-storiografico racconta cosa sarebbe successo all'Inghilterra nel caso in cui la Russia avesse lanciato la bomba atomica. Nell'Hiroshima occidentale che esplode nel terrificante film di Watkins, che ancora oggi è un caposaldo del cinema di indignazione, i goyani Disastri della guerra trovano un loro aggiornamento postmoderno in cui però neanche i cadaveri hanno una visuale e apparente catarsi, aggiudicandosi un tono di sacralità, ma diventano parte dell'immonda sporcizia e dell'angoscioso caos che la rottura di un fragilissimo equilibrio diplomatico ha portato. Visto oggi The War Game ha sicuramente un impatto emotivo (e politico) inferiore a quanto poteva averne nell'anno della realizzazione (1964), ma è tuttavia dotato di uno stile talmente furibondo e sfrontato da costituire una pietra miliare nella storia del cinema nella rappresentazione stessa della guerra atomica, priva di scontri alla maniera delle trincee delle Guerre Mondiali o alla maniera di invasione fisica di un esercito straniero stile guerra del Vietnam, ma con un nemico invisibile e un'esplosione che è quasi fine metafisica dell'ordine, con quei lampi bianchi e quelle scosse praticamente telluriche con cui la scienza umana ha saputo scuotere l'asse di simmetria della presenza dell'uomo sulla Terra. E il genere del falso documentario, nella mancanza di uno sguardo registico (apparentemente assente, in realtà assai invadente nell'onnipresente e fastidiosetta voce fuori campo, comunque necessaria nel contesto), riesce ancor di più a far credere veramente in quella furia distopica ricostruita nei minimi particolari nonostante la breve durata (alternata spaventosamente dalle supposte frasi di cattolici guerrafondai e politici burattini), agghiacciante alternativa al futuro dell'uomo (e ormai al nostro passato) che sarebbe stata anche fine di una porzione intera di umanità, con un'infanzia, ripresa quasi come ciliegina sulla torta di fango e sangue alla fine del film, che racconta di non voler fare nulla da grande. Quello che infatti finisce per fare più paura è la reazione psicologica e morale di tutti i sopravvissuti, costretti in una disumana quarantena in cui il minimo tentativo di ribellismo viene sedato con la violenza e la condanna a morte. D'altronde la scienza è andata avanti, ma dal punto di vista civile siamo ancora fermi alla Stone Age. E' dunque evidente il carattere assai didascalico dell'opera di Watkins, mascherato comunque da uno sguardo irriverente e da una sospensione dell'incredulità che ha avuto rari precedenti e, a dirla tutti, rari successori. Ovviamente, nonostante il bianco e nero abbastanza sporco (anzi, forse anche per questo) gli animi sensibili si astengano: tra quelle vittime così realisticamente osservate nel momento delle loro deformazioni e delle violenze subite a seguito dello scoppio della bomba finiamo per trovarci anche noi spettatori, pedine di un gioco della guerra che finisce sempre con un reciproco scacco matto.
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