Regia di Agnés Varda vedi scheda film
Mondo urbano e ambiente rurale, sfera politica e personale s’intersecano alla ricerca degli “spigolatori”, nelle interviste e nei commenti c’è leggerezza, neutralità, bastano le immagini a fare da miccia.
Il glaneur, lo “spigolatore”, conosce l’arte di “vivere degli avanzi degli altri”, e spigolatori sono i protagonisti di questo documentario che, circa 20 anni fa, percorreva e precorreva strade diventate poi affollate per moda, perché se ne parla, perché è politicamente corretto, perché... tante cose.
Ma nulla è cambiato, in meglio, e allora guardiamo cosa s’inventava la mitica Agnés nel 2000 e cos’aveva da dirci.
Intanto la modalità tecnica, allora all’avanguardia.
Una piccola telecamera per strategie di cinema digitale usata per la prima volta.
Qualcosa del genere era stato fatto in USA, sempre primi in questo campo, ma la risonanza di Les glaneurs et la glaneuse fu strepitosa e il documentario segnò una tappa nella storia del cinema.
"Queste nuove piccole fotocamere" spiega la voce fuori campo di Agnés "sono digitali, fantastiche. I loro effetti sono stroboscopici, narcisistici e persino iperrealistici. "
Hanno detto che per Varda “il cinema è sempre stato, soprattutto, un gesto d'amore modesto e bello”, e l’uso di un partner tecnologico inedito, dalle prospettive illimitate, capace di catturare gli avanzi che nella realtà rischiano la perdita, la noncuranza, la disattenzione, incontra uno sguardo che scava, spigola ("C'è un'altra donna che spigola in questo film, e questa sono io.") cerca frammenti del reale che sfuggono nelle pieghe, un mondo sommerso di inedita bellezza.
Per far cosa? Per conservare il passato?
"No, solo per giocare." risponde Varda.
La raccolta di immagini per un documentario è necessariamente frammentaria, dunque si tratta di “spigolare” , catturare ciò che è ancora disponibile, ridare un senso alle cose, fare quel che fanno i suoi spigolatori con patate, mele, ostriche e quant’ altro.
Telecamera a mano, la sua voce fuori campo o lei stessa in scena che parla, intervista, fa commenti, la distanza tra i due estremi si annulla, l’oggetto osservato e il soggetto che guarda diventano intercambiabili, la rottura degli schemi è il punto di partenza.
L’arrivo è il gioco.
Un gioco molto serio, come tutti i giochi, guardare il mondo dal basso, lì dove puntano gli occhi e frugano le mani dei glaneurs, gli spigolatori, i raccoglitori di rifiuti.
Alla fine del millennio, ad aprirne simbolicamente un altro che stava cominciando a sentire l’eco assordante del problema rifiuti, ecosostenibilità, riciclaggio, sprechi alimentari e povertà dilagante, Agnés Varda si mise in viaggio sulle strade della Francia alla ricerca di chi vive raccogliendo ciò che resta nei campi di patate, nei meleti, nei mercati agricoli o nei depositi urbani.
Sei mesi alla ricerca di un mondo sommerso per trovare la bellezza dove il mondo non penserebbe mai di cercarla.
Mentre il viaggio si snoda nella campagna francese, giocare è anche trattenere i camion che passano sull’altra corsia con una mano, catturandoli nel cerchio formato da pollice e indice.
Si chiama ammazzare la noia del viaggio, e piuttosto che inveire contro meglio catturarli, quei TIR.
Prima tappa sulla costa, tanto mare e una spiaggia, di quelle che Agnés ha sempre conservato con cura nel diario della sua vita (Le plages d'Agnés, 2008 ).
Sul passaggio del Gois che conduce all’isola di Noirmoutier spigolatori di ostriche aspettano che la bassa marea o un violento temporale lasci i molluschi sul greto.
Gli ostricultori li lasciano fare, basta che non vadano oltre i pali (ma spesso gli spigolatori ci vanno molto vicino)
Uomini, giovani e meno giovani, donne, impermeabili colorati, stivali di gomma e secchielli: un modo per sopravvivere, basta stare alla distanza giusta dai parchi, 25 metri (una volta erano 15) e non superare i 5 kg di ostriche e 3 di vongole.
Sono ostriche piccole e piene di sabbia, impossibile trovarle da Fauchon, à Paris, aperitivo con flute di champagne a 50 euro, ma per loro è vita.
Il viaggio prosegue, greggi in transumanza attraversano un ponte, mucche magre sui pascoli del Giura, un asinello pezzato segue il padrone, un montone è bloccato a terra da una zampa rotta, un cagnetto ha la ciotola per l’elemosina attaccata al collo, un passerotto sul ramo secco guarda gli spigolatori di uva sulle colline di Apt.
La famiglia Nenon ha trovato una vigna abbandonata, non potata, la mangeranno i cinghiali se non li tagliano loro i grappoli, e così li raccolgono e intanto cantano, belle voci.
Possono raccogliere dopo il 1 Novembre, è permesso dal proprietario, e Agnés filma cesoie danzanti e poiché la camera è rimasta aperta balla anche il coperchio dell’obiettivo accompagnato da un bell’assolo di tromba jazz.
La tenuta dove si spigola è La Folie , “Vins de Rully, Vente directe” recita un cartello e qui si scopre addirittura un precursore dei fratelli Lumière, “l’antenato assoluto dei cineasti”, Etienne-Jules Marey, viticultore bisnonno del proprietario, che guarda severo e barbuto da una foto nel piccolo museo a lui dedicato.
Ingegnere, fisiologo, erudito, aveva inventato la cronofotografia a pellicola mobile scomponendo per primo il movimento.
Marey scomponeva il volo degli uccelli, faceva esperimenti dalla piccola torre di pietra costruita nel retro delle vigne per tenervi una camera fissa, vedere e ricordare questa preistoria del cinema per Agnés è abbandonarsi al “piacere degli occhi” e dimenticare “le prodezze tecniche”.
Passano sullo schermo animali domestici, il profilo in movimento misura il portamento, lo stile, ed ecco l’eleganza felina del gatto e il passo sornione dell’asino, il cammino sicuro e un po’ tronfio del cane e quello sgangherato della capra che non sa dove vuol andare, il cammino furtivo del coniglietto pauroso e la folle allegria del barboncino che salta.
C’è il cinema che nasce dalla vita e da uno sguardo.
Mondo urbano e ambiente rurale, sfera politica e personale s’intersecano alla ricerca degli “spigolatori”, nelle interviste e nei commenti c’è leggerezza, neutralità, bastano le immagini a fare da miccia.
Come l’ultimo, Alain, lo “spigolatore” urbano, master universitario in scienze biologiche, oggi venditore occasionale di giornali davanti alla stazione. E’ uno che di scienza dell’alimentazione ne sa quanto basta per essere uno “spigolatore” informato dei rifiuti che attinge il mattino presto al mercato o dai cassonetti davanti ai fornai (e vedere quanto e cosa si butta è esperienza devastante, il cinema porta le cose in primo piano, non permette di girarsi e guardare da un’altra parte).
Alain guadagna poco e così si arrangia, vive in un residence sociale e la sera, nel seminterrato, insegna gratis il francese ad un popolo di analfabeti arrivati da tutte le parti del mondo.
Membro dell’esercito degli “spigolatori”, i raccoglitori di spighe rimaste nel campo dopo la trebbiatura, Alain ne riassume la qualità esistenziale, il loro posto nel mondo, lo “spigolo”, che non è la “spiga” ma quella linea che, stando ai dizionari di architettura, è “l'intersezione di due superfici considerata dalla parte in cui si presenta acuta e sporgente”,
Acuto e sporgente, lo spigolo èun segno, un referente, che rinvia ad un contenuto, in semiotica è la capacità di “dare la possibilità a chi interpreta di comprenderne il contenuto”.
La “spigolatura” oggi è la spina nel fianco della società dei consumi, definizione ormai vecchia e obsoleta, sarebbe meglio dire società dello spreco suicida (e anche omicida, perché no?).
Pratica antica, la “spigolatura” è da tempo immemorabile il connotato di un consorzio umano che ha saputo dare dignità anche ai suoi lati peggiori.
E’ ciò che intende Varda, e per far questo si fa aiutare dalla pittura andando a “spigolare” nei musei le tele perdute di Jules Breton e Jean-François Millet, bellissimi dipinti di un ‘800 segnato dai colori caldi del crepuscolo, quando il lavoro termina, o dal sole vangoghiano di meriggi agresti quando la fatica ferve.
Quelle contadine intente alla “spigolatura” sono piccole dee di un mondo scomparso, ninfe dei boschi, Driadi e Amadriadi che completano il lavoro dei campi.
Quello che raccolgono non sa di rifiuto, spazzatura, miseria.
Eppure miseria c’era, e tanta, ma non si avverte l’assenza di un’etica solidale, c’è il calore di un’umanità in cui vivere insieme sembrava ancora cosa buona e giusta.
Non è possibile senza rabbia vedere intere pagnotte di semi pregiati finire in cassonetti da cui sarebbero state triturate nelle discariche senza gli “spigolatori”, o rosse e gialle mele che sarebbe stato meglio non sottrarre ai loro rami.
Le immagini di Les glaneurs et la glaneuse hanno un potenziale fortemente provocatorio, rivoluzionario, sono una denuncia forte, un atto d’amore, “ un grillo su un mucchio di spazzatura”.
Venti anni fa.
Cantu di li cugghitura (Canto degli spigolatori)
Per raccogliere (qualche) spiga abbandonata
ci rechiamo in terre lontane
Partiamo tutti insieme dal nostro altopiano
poi, se Dio vorrà, torneremo nuovamente a casa
con il poco frumento che abbiamo raccolto.
Oh! Spiga, spiga rara, abbandonata
io ti raccolgo chicco dopo chicco per il nostro lungo inverno tu dai pane a tutta la famiglia
pane sudato, per chi ne conosce il costo e la fatica
e ti tengo in serbo, come un tesoro perché tu (spiga!) sei più preziosa dell’oro
Oh! Spiga, spiga rara, ora ti raccolgo
e ti raccolgo goccia a goccia come olio
e ti conservo come si fa con un tesoro,
perché tu (spiga rara) sei più preziosa dell’oro.
Quando il freddo abbrutisce (la carne) e la rende insensibile
e non si ha la possibilità di riscaldarsi con un tizzone di fuoco
tu (oh spiga) dai pane santo per sfamare (la famiglia) perché è Dio a volere che noi si possa spigolare!
www.paoladigiuseppe.it
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