Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
Uno Scorsese non seminale, ma ugualmente intrigante.
Si tratta chiaramente dell'esperimento quasi fanciullesco di un giovane di grande talento. Lo zio Martin disegna qui un'opera non seminale, ma ad ogni modo rilevante, che deve moltissimo alla Nouvelle Vague (non ci dicessero che è un film di Scorsese, lo scambieremmo senz'altro per una pellicola di Godard): il gusto predominante per l'inutile e il superfluo, la tecnica di montaggio identica, le ellissi improvvise. Ma presenta anche qualche elemento di sua propria specificità, che in nuce prefigura la sua futura poetica cinematografica: la fede, il peccato, il desiderio represso e/o liberato, la strada come sfondo ineludibile delle vicende umane. Tre sequenze in particolare sono meritevoli di annotazione: il gruppo di amici che si scambiano una pistola (l'amicizia virile che trasmuterà nel gangsterismo dei suoi lavori successivi, in particolare la struttura triangolare Gagà-J-R.-Joey rammenta terribilmente quella Tommy-Henry-Jimmy di Goodfellas: ma qui, la pistola, è solo un gingillo maschilista); la sequenza erotica, potente, d'impatto, che rimanda a una morale cristiana che non ammette il sesso fuori dal matrimonio ma tollera la prostituzione; e la sequenza finale, fenomenale nella sua secchezza e nella sua riverente irriverenza, con quel geniale iato fra il sacro delle immagini e il profano pop della canzone di sottofondo. Nemmeno Stanley Kubrick in A Clockwork Orange si era spinto a tanto (lì, almeno, la colonna sonora era una sinfonia di Beethoven). In sintesi, una pellicola profondamente inorganica nel suo insieme, ma da apprezzare nelle sue singole sezioni componenti, veri gioielli che troveranno pieno sviluppo nei lavori successivi.
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